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"Dopo aver disegnato la veduta di questo Crati, sì fatale ai giardini a l'inglese si è mostrato con più fascino che in questo luogo Sibariti, passammo il fiume su un carro a buoi, e i nostri delizioso. Ovunque frutteti agresti irrigati da ruscelli erranti a loro muletti ci seguirono a guado. arbitrio, vi fanno crescere gli aranci all'altezza di querele. Approssimandoci a Corigliano, che è a sei miglia di lì, non tardammo E' attraverso questo fogliame fitto di limoni, di melograni e di fichi, a riconoscere, nella bellezza e nella prodigiosa abbondanza che si scorgono, furtivamente, tutti i punti di vista della di questo paese, tutte le delizie che avevano altra volta città, che si compone sia con il vasto fondo del corrotto Sibari; e effettivamente la strada e il mare, sia con le forme larghe e imponenti territorio che si attraversa per arrivarvi offre tutto dell'Appennino gelato. Questo giardino delle ciò che l'immaginazione può concepire di più : Esperidi è tanto gradevole che utile, e così ricco, di più ridente e di più fertile. abbondante che pittoresco; vi si Corigliano non è tuttavia che un grande ; raccolgono tutti i grani che la terra può villaggio sovrastato da un vecchio castello produrre, un vino squisito, e il migliore piazzato sulla vetta di una roccia; ma la sua che vi è in Italia; i pascoli vi sono grassi posizione, il suo suolo, e l'aria profumata e fertili, la pesca abbondante, e tutti i che vi si respira, come i suoi prodotti, lo frutti più deliziosi, più perfetti che in mettono al di sopra di tutte le descrizioni alcun luogo del mondo. che se ne possono fare. Ogni passo offre Era impossibile che un paese di delizie un nuovo punto di vista sempre più come quello di Corigliano, e così ricco pittoresco, e nello stesso tempo più gradevole, soprattutto in siti e in panorami, gli uni in cui il grazioso è unito al grande, e ove i più aspri degli altri, non avessero un dettagli la disputano all'insieme. Si farebbe un incanto particolare per noi; così, malgrado il volume assai variato di vedute di Corigliano. desiderio che avevamo di non perdere un Disegnammo una prima veduta della città, arrivandovi, e sul giorno per giungere in Sicilia prima dei grandi calori,bordo d'un torrente che passa al piede stesso della montagna al formammo egualmente il progetto di soggiornarvi, e l'affabilità sommo della quale essa è situata e costruita in anfiteatro. Mai questo dell'agente del Principe di San Mauro, al quale eravamo indirizzati,finì per determinarci. Eravamo soprattutto sorpresi di vedere che questa Calabria, di cui avevano fatto tanta paura, era il luogo ove durante tutto il nostro viaggio, avevamo visto esercitare l'ospitalità con la più larga franchezza e cordialità. Si può dire, e senza esagerazione, di questi felici e tranquilli abitanti, che, da quando si entra nelle loro case, esse divengono vostre; quelli non hanno più nulla per loro, e senza fasto vi mettono davanti tutto ciò che può piacervi, tutto ciò che voi potete desiderare. Il nostro dispiacere solamente era di non aver potuto trovare il luogo ove s'immaginava che aveva potuto essere la Sibari tanto vantata, e che era perduta per noi nella piana, come Thurio. Il nostro oste, al quale facemmo parte del nostro rammarico,ci offrì di accompagnarci per fare nuove ricerche l'indomani. La vigilia di questa escursione, impiegammo il tempo che ci restava a percorrere e disegnare Corigliano sotto tutti gli aspetti possibili. Dopo aver preso a prima vista l'insieme di questa piccola città, volemmo averne una veduta tale e quale si presenta verso la metà della strada che vi conduce, ed alla metà della montagna; lasciando sulla sinistra un piccolo Convento di Cappuccini, avevamo, a destra, l'aspetto di una parte della città e di qualche costruzione rustica, disseminata qua e là sulle rocce che terminano nella maniera più pittoresca. Uscendo da questa strada cava, specie di torrente e di frana selvaggia che circonda Corigliano dal lato dell'entrata, si è veramente stupiti del quadro incantevole che si spiega alla vista. Il contrasto che produce la bellezza di questo paese incantevole all'uscita di questa gola e di questo succedersi di montagne che si perdono nello spazio, è, senza contraddizione, uno dei più belli aspetti di cui si possa godere in nessun paese del mondo. A/e fummo così sorpresi, che il nostro paesaggista fu subito incaricato di disegnare lo stesso sito donde si gode di vista ammirabile, e dove il primo piano, disposto dalla natura in gradini, e come per servire da cornice al quadro, non può essere meglio paragonato che a un verziere o a un giardino dell'Eden. Non ci si può fare un'idea dell'abbondanza e dell'eccellenza della frutta di tutte le specie che crescono naturalmente in questo paese, e senza la minima cura da parte degli abitanti. verso la fine del giorno, ci conducemmo agli aranceti ed ai limoneti mangiammo venti tipi di frutta, arance deliziose, limoni dolci come una leggera limonata, e soprattutto limoni d'una specie e di una grossezza poco comuni; quasi tutti avevano otto pollici di diametro, tuttavia ci si assicurò che i più grossi lo hanno qualche volta fino a quindici. Una delle vedute più piccanti che abbiamo trovato in questo singolare paese, è stato lo stesso ingresso della città, ove non si arriva che dopo essere passati sotto un acquedotto elevatissimo,come lo si vede rappresentato nella tavola 348 del nostro Atlante.Senza questo acquedotto, non vi sarebbe una goccia d'acqua Corigliano.Fu entrando nella città, e dopo averne percorso tutti i dintorni, che fummo curiosi di vedere un opificio dove si lavora la liquirizia e la manna, che è una produzione attinente a questa provincia. Si cava radica di questa pianta in autunno, si mette in fascina come i nostri sarmenti di vigna in inverno, dopo d'averla fatta immollare qualche tempo nell'acqua per farle rendere il suo verde: si mette in un trogolo tondo nel quale una mola pesante e dentata la pesta fino a ridurla come una stoppa; allora vien buttata in una caldaia di acqua bollente, da dove non vien tolta che per essere spremuta, come olio, dentro una cassa, o pancone. Si versa il liquido in una caldaia, e vi si fa bollire poi fino a che ha acquistato abbastanza consistenza per esser ridotta in tavolette, o in bastoncini, così come noi la conosciamo in Francia. L'indomani sul far del giorno, partimmo con il nostro oste, e ritornammo a cercare Sibari. Ci condusse dapprima a San Mauro, feudo superbo appartenente al Duca di Corigliano, che ha per duecento cinquanta mila lire di fattorie attigue, e tutte situate nel luogo stesso e nel territorio dove si presume ch'era situata l'antica città. Trovammo, assai vicino a S. Mauro, due villaggi abitati da albanesi, che questa è la sorte di questa parte d'Italia d'essere abitata dai Greci; ma questi qua non giuocano il ruolo degli .antichi, perché si può dire che vegetino nella miseria e nell'accidia. Essi vi si ritirarono, dicono, al tempo della conquista di Scanderberg, nel 1460, e vi portarono i loro riti. I preti di questi albanesi riconoscono il Papa, che, in contraccambio, permette loro di sposare una sola volta. Tutti questi albanesi son nell'uso di acquistare le loro donne al posto di riceverne una dote; così le fanno lavorare mentr'essi restano tranquilli e nell'ozio. Vedemmo nei campi molte di queste disgraziate condotte come truppe, e comandate da un solo uomo siccome schiavi. Dopo aver percorso, non senza molta fatica, una immensa pianura dove nulla poteva fermare l'attenzione e lo sguardo, oltre una vegetazione prodigiosamente abbondante, e qualche capanna di contadini disseminata in distanza, entrammo in una fattoria chiamata nel paese "Ministeriale" (Ministalla, N.D.T.); che è distante otto miglia da Corigliano, a tre miglia dal mare, e ad otto da Casa/nuovo. E', a quanto si pretende, il luogo ove era situata l'antica Sibari, precisamente nel mezzo della piana e del golfo."
(1818) Cassano e Corigliano distano tra loro otto miglia. La strada che conduce a quest'ultima città presenta un nettissimo cambiamento di vegetazione e il rosso terreno argilloso, spoglio di ogni pianta che ha bisogno di umidità, è ombreggiato solo da belle quercie e da olivi. La città di Corigliano è appollaiata su un'altura scoscesa alla quale si accede molto faticosamente. Parecchi casini, situati tra estesi aranceti, abbelliscono la base della collina e mitigano in qualche modo il desolato aspetto del largo e pietroso letto di un torrente asciutto, il Coriglianello, che attraversammo passando su un ponte di pietra. Il torrente serpeggia ai piedi della montagna e le sue annuali piene devastano puntualmente i campi vicini. Le arance che si producono in questa zona sono di ottima qualità e vengono esportate nella costa orientale della Calabria fino a Taranto, rifornita saltuariamente anche di ghiaccio o di neve, quando l'inverno è stato troppo mite in Puglia per produrne quantità sufficiente. Diversi grandi conventi s'innalzano nei dintorni di Corigliano, in posizioni pittoresche; e un acquedotto, che trasporta l'acqua delle montagne più alte, attraversa la strada principale e si snoda intorno alla collina piramidale sulla quale è edificata la città,Il castello del duca, in passato signore della città e di tutto il territorio circostante, si innalza proprio sulla punta di questa piramide. Il castello è un edificio quadrato, con una torre a ogni angolo; è circondato da un fossato e vi si accede mediante due ponti levatoi. Gli ultimi proprietari, adattandolo per essere abitato, lo hanno privato del suo maestoso e venerabile aspetto; rimane, tuttavia, la cosa più interessante della città e possiede tutte le comodità di un'abitazione moderna. Il panorama che si gode dalla sua terrazza è esteso, ed è una copia precisa di quello che si ammira da Cassano, con il vantaggio che le montagne che si erigono dietro quella città, e che da qui si scorgono in tutta la loro magnificenza, sono infinitamente più belle per altezza e per forma di quelle che ombreggiano Corigliano. Da qui lo sguardo abbraccia anche più distintamente i contorni del golfo e una maggior estensione della valle. Ma lo spoglio terreno circostante, dall'aspetto spelacchiato e arido, e la rara presenza di olivi, offuscano la sua bellezza. A Corigliano fui ricevuto da un gentiluomo per il quale avevo portato una lettera da Napoli. La sua famiglia era numerosa e i suoi figli più piccoli, gemelli, erano straordinariamente somiglianti e belli, di una bellezza di gran lunga superiore a quella finora vista, anche in Inghilterra, dove raramente gli stranieri trovano i nostri bambini brutti. Questa impressione, invece, solitamente è colta dai miei compatrioti in Italia, dove la mancanza di vigoria e la carnagione chiara sono appena compensate da lineamenti regolari ed espressioni infantili. Nei due gemelli si notava sorprendentemente lo splendore e in più una delicatezza di carnagione, finezza di forme e dolcezza di sorriso; i due sembravano come creati in una forma superiore dal resto del genere umano, mentre la silenziosa grazia del loro portamento, e una certa espressione di malinconia, totalmente estranea all'abituale vivacità di quella età, li faceva apparire come degli esseri angelici. Durante il pranzo in compagnia di questa interessante famiglia, fui chiamato per guardare dalla finestra un funerale che vi si era fermato sotto. Si trattava di una consuetudine alla quale la famiglia doveva attendere poiché conosceva l'estinto. Il morto, scoperto come voleva l'usanza, era un uomo basso e robusto, di carnagione scura, di circa cinquant'anni, che nel corso della sua vita si era dedicato soprattutto alla caccia, veniva trasportato alla tomba con un abito adatto a questa circostanza. Il feretro venne posato a terra sotto la finestra, in segno di rispetto verso i miei ospiti, mentre intorno i sacerdoti continuarono a intonare i loro tristi canti. Una lunga fila di amici e di vicini lo seguiva in silenzio; dietro un gruppo di donne, la maggior parte in lacrime. In prima fila la vedova, il cui volto era segnato dal pallore e dall'immobilità di una statua. A intervalli regolari si strappava delle ciocche di capelli dalle trecce nere che le arrivavano al ginocchio. Puntualmente veniva interrotta dalle donne che la sostenevano, le quali le rimettevano le mani lungo i fianchi, dove però rimanevano solo per pochi istanti. I fabbri, i ciabattini, i falegnami e i fruttivendoli sospesero le loro rumorose occupazioni per un momento; anche le lavandaie, alla vicina fontana, cessarono di battere i panni. Ma ripresero tutti con rinnovata vigoria appena il corteo si mosse; la cosa non sembrò aver impressionato tanto i miei amici, sufficientemente forti da non ritardare oltre il nostro ritorno a tavola. La marina di Corigliano, chiamata Schiavonea, è distante cinque miglia e mi si presentò molto interessante più per la sua bella e grande chiesa arricchita da preziosi marmi, che per la sua importanza e le sue dimensioni. Il giorno dopo proseguii il mio viaggio seguendo il sentiero lungo la costa. Rossano è più grande ma meno popolata di Corigliano, da cui dista circa otto miglia e sorge quasi in una posizione simile. Ma era troppo vicina per pernottarvi e poiché si trova all'interno, un po' lontano dalla strada, abbandonai l'idea di visitarla.
(1777)Attraversammo il Crati, un bel fiume ampio, limpido e rapido. Gli antichi credevano che le sue acque fossero medicinali ed avessero la proprietà di tingere di un bel biondo o giallo i capelli di coloro che ne bevevano a lungo, mentre erano convinti che quelle del Sibari li facevano diventare neri. Pensavano anche che fosse imprudente portare il bestiame a bere nel Sibari perché l'acqua, essendo fortemente impregnata di gas mefitico, causava pericolosi starnuti e convulsioni. Nel pomeriggio cavalcammo per tre miglia su una bellissima collina coperta di aranci, limoni, e ulivi, mandorli e di altri alberi da frutto che, le contrastanti macchie di verde e per la varietà della loro altezza e forma, offrivano uno dei più vari ed intensi panorami che avessi mai visto anche in Italia che pure è paese di meravigliosi paesaggi. Rimasi incantato dalla stupenda vista e quasi inebriato dai profumi. Il Crati esce da una gola nella catena delle montagne che costringe il suo rumoroso corso verso il mare Jonio, il quale, sebbene distasse quattro miglia dal luogo dove mi trovavo, appariva in quella trasparente atmosfera come se fosse quasi ai piedi delle colline orlato appena da un verde pascolo. La cittadina di Corigliano si erge arditamente sulla cima della collina coperta di verde come una torre di guardia posta a difesa di tutti questi tesori naturali. E' un ducato che appartiene ai Saluzzo, una famiglia genovese che da qualche anno è stata annessa al seggio o circoscrizione del Porto a Napoli. Gli edifici sono un po' migliori di quelli degli altri centri calabresi vicini da me attraversati. Conta circa ottomila abitanti che sembrano estremamente poveri e, come Tantalo, muoiono di fame in mezzo all'abbondanza sebbene il loro padrone sia considerato uno dei più umani e ricchi feudatari della zona. Egli ha promosso l'agricoltura e l'allevamento dei cavalli e del bestiame, ma con risultati finora di poco conto. Ci procurò un moto di gioia l'incontro di lunghe file di muli e di asini carichi di arance appena colte che venivano trasportate sulla spiaggia perché fossero imbarcate per Taranto e Gallipoli. La brezza marina della sera carica di deliziosi profumi mi accarezzava così piacevolmente che entrai con riluttanza in paese dove trovai una taverna veramente squallida ed impregnata di tale cattivo odore da costituire un terribile contrasto con l'aria profumata che avevo respirato fino a poco prima. Nessuna venta in Spagna si potrebbe preferire a questa per odore, pulizia e cibo. L'itinerario consigliatomi a Napoli non indicava Corigliano come luogo di sosta per dormire, perciò mi presentai senza alcuna credenziale scritta all'agente del duca che perciò mi rifiutò il letto nella sua casa. Quindi presi alloggio nell'abitazione di un commerciante di olio. Il proprietario non c'era, e vedemmo solo una vecchia serva. Il resto della famiglia era chiuso sotto chiave. Fui così male alloggiato che la mattina dopo, appena mi fu possibile, ripresi il cammino verso la pianura in mezzo ad una meravigliosa campagna che non so descrivere in maniera adeguata. Da ogni lato frutti e fiori crescevano in grande quantità vivificati dall'aria del mattino; le chiome rotonde degli alberi d'arancio risplendevano ai raggi del sole che stava levandosi ed inondava di luce la superficie del mare; tutto intorno era rallegrato dal canto di una moltitudine di uomini e di donne che scendevano dalla collina avviandosi al lavoro quotidiano. La produzione qui attinge ai limiti massimi che si possono conseguire senza la collaborazione dell'uomo. L'agricoltura in questa zona è molto trascurata e l'arte del giardinaggio risulta molto mal praticata. Entrambe denunciano mancanza di emulazione e d'intelligenza. Il clima ed il suolo compiono più di metà del lavoro, il resto è svolto pigramente dalla mano dell'uomo avvilito sul quale la natura benevola versa la sua cornucopia. Tuttavia per molte cause fatali la generosità dell'ambiente contribuisce poco al benessere del contadino. Di contro in regioni settentrionali e meno fertili il lavoratore attivo ed intraprendente trae dalla terra notevoli benefici, e dalle trascurabili risorse naturali di essa è capace di ricavare benessere ed indipendenza. La strada all'ombra degli ulivi e delle quercie sempreverdi ed in mezzo a campi di grano è deliziosa; ma dopo cinque miglia diventa pietrosa, ripida ed irregolare salendo verso Rossano
Vue d'une fabrique de Reglisse à Corigliano
"Dopo aver percorso tutti i dintorni fummo curiosi di vedere un opificio dove si lavora la liquirizia e la manna..."
Disegno di Claude-Louis Chatelet riguardante l'interno di un grande opificio dove si praticava una delle più fiorenti attività della piana di Sibari, la lavorazione della radice della liquirizia.
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(1771)Costeggiai sino all'altezza di Corigliano, città sita su un colle, a quattro miglia dal mare e sbarcai sulla spiaggia della Schiavonia, per andare ad ossequiare il Duca, il quale trovavasi nel suo ducato e per visitare nel tempo stesso l'area ove era l'antica Sibari, ch'è di dominio del medesimo signore. Corigliano è sito nella migliore e più bella contrada della Calabria; ogni produzione del suolo è ammirevole, in nessun altro luogo si fa così buon olio e con sì grande abbondanza; i vini di questo circondario sono del pari i migliori della provincia e sanno di gratissimo finocchio, si coltivano molto i cereali tanto da non aver bisogno di provvedersi altrove; le melarance e i cedri vi si producono e sono di gusto squisito; vi si allevano anche bestiami con successo meraviglioso. Il solo Duca alleva ogni anno trecento cavalli. La lana è bellissima e tutte le specie di animali sono di perfettissima qualità e di grandissima quantità; la manna, il catrame, la pece si raccolgono in abbondanza e la coltura della seta non è trascurata... L'altezza dei monti somministra molta legna sino a esportarne; similmente si esporta lino e canapa. Ogni specie di frutta, pere e mele, che quasi in tutta Italia non sono comuni né buone, si producono in abbondanza e di prima scelta; infine, perché di nulla difettasse questa felice contrada, il mare che la bagna è il più ricco di pesci per tutto il Golfo di Taranto, che per altro è abbondantissimo. Ma ogni vantaggio di questo delizioso paese è dovuto al suolo, la natura rese tutto, cooperandovi poco o nulla l'arte e l'industria; solamente l'attuale Duca non ha tralasciato di farvi delle migliorie. Il grande introito che si ricava da una radice così comune qual'è la liquirizia, merita bene che io vi faccia una breve descrizione del modo come si prepara. Dal mese di novembre sino a giugno si estrae dalla terra questa radice e dopo cinque anni la si riproduce senza altra coltura; si tagliuzza, si inumidisce e si tritura in un molino sino a ridurla in forma di pasta; si fa bollire per otto ore in una capace caldaia, e intanto si ha premura di mantenere sempre nella caldaia una certa quantità d'acqua. Si fa passare tale pasta così densa per due volte sotto il torchio per spremerne il succo spesso e glutinoso, che si lascia cuocere in altra caldaia per ventiquattro ore, fino a tanto che abbia ottenuto maggiore consistenza da essere diviso in tavolette, che, disposte con foglie di alloro in casse, si vendono agl'Inglesi ed agli Olandesi. Corigliano è città piccola ma graziosa, di circa ottomila anime, luogo di residenza del Duca quando egli si trova nei suoi stati. Il panorama è molto incantevole e la posizione bellissima.
(1883) La donna del popolo di Corigliano è quella che ha abitudini più civili, diremmo quasi più signorili, di tutte le popolane degli altri paesi. Passate un momento in rassegna una di quelle pittoresche processioni principali, per es. quella di S. Francesco di Paola, nella quale le donne del popolo fanno pompa del loro abbigliamento di gala; il colorito fino dei visi della gran maggioranza di queste donne, cui non fece offesa il sole dei campi, come ai visi abbrustoliti delle contadine Acresi e dei Casali di Cosenza; e sui quali la fame non ha fatto sfregio alle naturali bellezze, perché la generale comodità ed abbondanza di tutte cose qui fa che la donna sia sempre ben nutrita; lo sfarzo dei loro abiti di festa, di quelle sette gonne (farigghie) di cui la donna del popolo di qui si ammanta; con tal arte che il lembo di ciascuna sormonti e lasci appariscente quello dell'altra; in modo da fare sfoggio di tutte le sue sette vesti, come l'iride si fa bello di sette colori. Questi ed altri fatti caratteristici del luogo, vi saltano agli occhi; e vi fanno subito rilevare che la donna del popolo di Corigliano occupa nella posizione sociale un gradino superiore a quello delle donne della stessa condizione degli altri paesi, alle quali essa può ben fare invidia. Ed invero, messa a raffronto, essa vi apparisce una vera signora, in paragone della povera donna Albanese di S. Giorgio che, caricatosi come un somaro la schiena, viene a vendere il suo sacco di lupini per lucrar pochi centesimi; o della contadina Acrese che fa quattr'ore di cammino dai monti, portando sul capo una soma di fascine a vendere per quattro soldi. Ma d'altra parte, questa abbondanza in cui essa nuota, l'assenza del bisogno che acuisce le forze e stimola alla produzione, fa che la donna del popolo qui produca meno che altrove col suo lavoro giornaliero; anzi essa, relativamente alle altre della stessa condizione di altri paesi per l'agricoltura, è un vero non-valore ... Essa non è contadina propriamente, che attenda di professione ai lavori campestri, come le donne Acresi o le Albanesi; e non vi è quasi esempio di una donna di Corigliano che viva in campagna col marito, come nel Cosentino o in quello di Acri, dove la donna, anche di agiati coloni, convive col marito a dimora fissa nelle campagne popolate di case, e divide per abitudine le fatiche dei campi con lui. Per eccezione la donna si adatta alla coglitura delle olive; e proprio per eccezionali circostanze una piccola parte di questa immensa popolazione femminea, quella che è spinta dalla fame, si presta a qualche altro lieve lavoro campestre. Ma in generale essa non è nata contadina, e mal si presta ai rudi lavori agricoli, che lascia tutti all'uomo...
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