Imprecazioni dialettali
Acqu’avant’e bbient’appriessi, “possa tu trovarti sempre con la pioggia in faccia e il vento di tempesta alle spalle”. Una vera e cattiva imprecazione nei confronti di una persona, alla quale si “augura”, con un forte senso di disumanità, una violenta tempesta e un forte vento alle spalle. Alle spalle perché la tempesta lo possa colpire anche nel fisico.
Chi ti vìja n'erramӓti, "possa vederti ramingo". Un'imprecazione cattiva, perchè si "augura" ad una persona che non possa avere pace, serenità e benessere e di cercarla, quindi, girovagando per il mondo. Questa frase, simile a "mala tinta narramàta",è l'esatto contrario di un'altra molto usata nel nostro dialetto : "chi ti vìja bbiniritti" o "va, nzaramenti" cioè, che tu possa essere benedetto o che tu possa andare in pace(serenità).
Cha ti vò pigghijèri za Laura : Letteralmente, che ti
possa prendere zia Laura, cioè la Morte. La figura di Zia Laura è rappresentata da uno scheletro che brandisce una falce,
attrezzo per tagliare, appounto falciare la vita di una persona. Questa figura a volte è vestita da un saio, una tunica o da un mantello di colore nero
con cappuccio.
Chi ti vò sentiri a ru fieti ‘i ri carbuni, letteralmente, che tu possa sentirti(male) al cattivo odore dei carboni. Con questa frase, che in realtà suona come una grande bestemmia, si "augurava" ad una persona la morte a causa di esalazioni di monossido di carbonio, dal braciere acceso. Da ricordare che un tempo il braciere era una delle poche fonti di riscaldamento
Chi vò ghessiri agghjancheta cum'u Vènneri Ssanti, cioè, che tu possa essere addolorata come (la madonna) del Venerdì Santo. Un'imprecazione spesso rivolta a qualche donna che non ha avuto un comportamento del tutto corretto nei confronti di qualcuno. Ma, in ogni caso, non assolutamente giustificabile, perché non si augura mai a chicchessia la morte(la crocifissione) di un proprio figlio.
Cicӓta chi ti vìja, possa vederti cieco. Questa imprecazione, che qualche volta è anche "chi ti vìja cicӓta", o cichèta netta è rivolta a quelle persone che dimostrano un certo senso di invidia nei confronti di altre persone. Per cui, la maledizione di queste ultime alle prime che diventassero cieche totalmente, affinché non vedessero mai più le cose belle degli altri.
E'cchi vò'grimàri, possa tu vivere sempre, a causa di malattie, sofferente in un letto. Una brutta bestemmia, perché si "augura" ad una persona di ammalarsi e, per di più, di soffrire. Necessariamente da censurare un comportamento così cattivo, ma soprattutto disumano, anche se si sono subiti torti, ingiustizie oppure offese.
Ma vatti ghiett'i na timpa : Letteralmente, ma vatti a buttare in un burrone, in un precipizio. Come l'altra espressione dialettale, "ma vatti arrèsa", è un modo per dire ad una persona, che ha appena combinato qualche cosa di grave, di mettersi da parte. Cioè l'ha fatta così grossa che l'unico rimedio è appunto quello di scomparire per sempre.
Malanova chi li vegna. Letteralmente, possa avere una brutta notizia o, ancora peggio, possa capitargli una disgrazia. Un'imprecazione abbastanza cattiva e maligna, fatta da quelle persone che vivono sperando nelle disgrazie altrui. Faccio notare che a questa frase si contrappone l'altra : "cchi vò mal'a ra genti, 'u sua gghè arriet'a porta)
Mal'juorni mmiji, letteralmente " male giorno mio", che cattiva giornata per me, o, ancora meglio, povero me. E' un'imprecazione che una persona dice quando si verifica per sè o per la sua famiglia un cattivo evento. Anche "cchi malə journə" esprime lo stesso concetto. Leggermente diverso è, invece, "cchi bbuoni juorni", in senso ironico, "ma che diamine".
Muort'accisi chi ti vìja, possa vederti assassinato. Una frase che ha tutto il sapore di una vera bestemmia, in quanto si "augura" la morte ad una persona. Niente di più grave. E' d'obbligo, però, sottolineare che qualche volta questa frase viene detta anche con tono scherzoso, soprattutto nei confronti delle persone particolarmente simpatiche e intriganti.
T'arrivuli na mappina, Letteralmente "Ti lancio un cencio". In realtà non si tratta di un lancio di un cencio, uno straccio, ma di qualche altra cosa molto più grave. Questa frase vuol dire : "ti do un grande ceffone". Una frase non solo grave, perché è la premessa di una violenza verso una persona, ma anche volgare per l'uso del termine "mappina"
Ti sgrugn'u mussi : Letteralmente, ti sgrugno il muso, ti rompo il grugno a pugni. Questa frase detta con senso dispregiativo, essendo il grugno il muso del maiale, viene detta ogni qual volta incivilmente si vuole sostituire una discussione, anche vivace, con il prendere a pugni una persona, solo perché quest'ultima, forse, ha commesso qualche errore.
Ti vò apprattàri a Rienza, un'imprecazione che equivale ad una brutta bestemmia, perché si “augura” ad una persona che sia “chiamata” da un tribunale e quindi perseguitata per lungo tempo dalla giustizia. Di solito, parlo per essere stato testimonio più volte, erano le povere vecchiette che, prese in giro da qualche ragazzaccio, per reazione, si esprimevano in questi termini.
Ti vo' arrutar'u mali punti, possa incombere su di te un grave pericolo. Un'espressione, un'imprecazione dialettale poco garbata, che di solito usano le donne di una certa età e di scarse maniere per “augurare” un pericolo grave a chi le infastidisce. Quasi sempre la risposta silenziosa del destinatario consisteva in un gesto molto intuibile.
Ti vo' ffàri cancareja (riferito al cibo). Possa farti del male. E' un'imprecazione, rivolta a chi sta mangiando immeritatamente o che non rispetta le regole della cosiddetta "buona creanza". Ma è anche un modo per apostrofare chi esagera nel mangiare e non si sazia mai. In definitiva è un modo sgarbato rivolto a chi sta abusando del cibo.
Ti vo' gghjiaccàri 'nu truoni! Possa tu restare spaccato in due da un tuono, simile a "Ti vo' ssucàrə 'nu lampə ". Due imprecazioni molto cattive, perché non si deve mai desiderare la morte ad alcuno, e poi in questi modi particolarmente cruenti. Per onor del vero, però, devo dire che queste due frasi , qualche volta, vengono dette anche con tono scherzoso nei confronti di qualche burlone.
Ti vo' ppijàri na pirinija. Un’imprecazione molto cattiva che risale ai tempi che furono, cioè, quando erano frequenti le epidemie che mietevano molte vittime. Per tale motivo, questa frase, o meglio questa brutta bestemmia, che vuol dire “possa tu contrarre una grave epidemia”, non era altro che “augurare” ad una persona una morte atroce.
Tinta 'nivura chi vò gghjessiri, è una (quasi) bestemmia detta da una persona che ha subìto un grosso torto da qualcuno. Letteralmente si traduce in : "vuoi vestirti di nero", vestita a lutto, (che ti possa morire qualche familiare). E' di una grande cattiveria, perché si coinvolgono, ingiustamente, anche i familiari che sono estranei al torto subìto.
Vu'avir'a sciort'i ra bbrutt'i ra lagnusa, possa tu avere la sorte (sfortuna ) della (donna) brutta e lagnosa. E' un' imprecazione esagerata verso chi avrà pur avuto il torto di commettere qualcosa di sgradevole, ma che sicuramente non merita un' esecrazione così cattiva, che fa riferimento alla grande bruttezza.