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a cura di Salvatore Arena
NOTA
II nome di Fortunato Bruno continua ad esercitare un fascino particolare in chi ha conosciuto l'Uomo. I giovani spesso ne sentono parlare, frequentano il Liceo da Lui fondato ed a Lui intitolato, ma non trovano tracce di testimonianze vere cui attingere. É stato questo il motivo che mi ha spinto a riordinare in un volumetto l'artìcolo di mio padre apparso in epoche diverse - tra il 1951 e il 1970 - su Cor Bonum, Noi Giovani, Rassegna Calabrese e Jonipress: uniche pagine scritte subito dopo la morte di Fortunato Bruno e da persona che Gli era stata sempre accanto e, che, quindi, conosceva il personaggio non certo per... sentito dire. Infatti, mio padre fu prima allievo del Preside Bruno e, più tardi, all'atto dell'istituzione del Liceo, fu chiamato proprio da Lui per l'insegnamento di filosofia e storia. Tra i due ci fu, soprattutto, un grande legame affettivo. Anch'io ho avuto la fortuna di godere, sia pure per breve tempo, dell'affetto e degli insegnamenti del Prof. Bruno: un motivo in più per contribuire a ricordarne, oggi, la Sua figura. Poiché quest'anno il Liceo Scientifico compie il suo primo mezzo secolo di vita, ho sentito il bisogno di curare, in appendice, un breve excursus storico dell'Istituto, dal 1938 ad oggi.
Salvatore Arena
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L'UOMO
Ancor oggi, a distanza di circa dieci anni dalla Sua dipartita, al solo ricordo del riverito nome del Professore Fortunato Bruno, la Sua "buona e cara immagine paterna" ci si presenta nitida, sorridente (com'Egli ci accoglieva, sempre, in vita!), quasi parlante, dinanzi agli occhi della mente, suscitando, nella memoria e nel cuore, tale e tanta messe di ricordi soavissimi, che tracciarne ex novo un profilo è impossibile, per la invincibile mozione degli affetti che accompagna, sempre, la ricordanza dell'Educatore incomparabile e del Cittadino esemplare.
D'altra parte, oggi, un profilo s'impone, considerato che la Sua Città natale si accinge ad eternarne il nome ed il ricordo nella intitolazione del nostro Liceo Scientifico.
Corigliano e gli innumerevoli discepoli di Fortunato Bruno hanno voluto rendere al proprio figlio e Maestro un affettuoso attestato che sa d'infinita riconoscenza per l'Uomo, per il Rettore, per il Preside, per il Docente insigne.
E riteniamo bastevole, oltre che doveroso, ripetere, pressappoco, quanto dicemmo del Maestro, subito dopo l'angoscioso distacco, avvenuto il 20 marzo 1951, sul periodico locale "Cor Bonum".
Doloroso officio del discepolo comporre il profilo del proprio Maestro, dolorosissimo, poi, quando il Maestro è d'insuperabile altezza intellettuale e morale, quale fu, appunto, don Fortunato Bruno.
Forse, non tutti sanno che quando un uomo attinge a certe vette della pubblica estimazione e la sua opera, davvero egregia, di educatore alla Socrate, diventa patrimonio di tre generazioni, giacché il Nostro insegnò, dalla cattedra, per circa mezzo secolo - dal 1901 ai 1946! -, non è facile scrivere di Lui, se non si hanno dei punti di riferimento precisi.
Ma, per la verità, don Fortunato Bruno rappresenta, addirittura, un intero capitolo di Storia della parte più viva e più nobile della nostra Corigliano e, perciò, scrivendo, col cuore lacrimante e gli occhi riarsi, si ha la sensazione di saperne meno di chi leggerà.
Noi, oggi come allora, abbiamo la certezza di scrivere anche per le migliaia e migliaia di alunni Suoi sparsi per il mondo.
Prima di tratteggiare la radiosa figura, diamo poche notizie biografiche, ponendo, anzitutto, in rilievo che Egli, come tanti altri grandi Maestri che illustrarono il nostro Ateneo "Garopoli" (da Francesco Pometti a Francesco Maradea), fu un autentico figlio del popolo, essendo qui nato - e più precisamente in via Capalbo 7 - da Saverio da Fiumefreddo Bruzio, negoziante di tessuti (nel registro dello stato civile leggesi "mercante"), e da Teresa Bruno, da qui, alle ore 15 del 31 dicembre 1877. I genitori gli imposero, accanto al nome noto di Fortunato, anche quello di Luciano; e, zelantissimi ed onesti fino all'eccesso, lo denunciarono subito allo stato civile, senza neppure attendere l'anno nuovo, che era imminente.
Ma quel bimbo, in verità, era nato per esercitare la più nobile, disinteressata ed altruistica professione, ed i Suoi "maggiori" ne favorirono la vocazione, a costo di sacrifici, ricompensati dal bene che tanto figlio profuse durante tutta la Sua nobile esistenza, a piene mani, con fare sacerdotale, sia dalla cattedra, sia con la vita intemerata che condusse.
L'infanzia di Fortunato Bruno trascorse tra l' "Orto del Duca" e la vicina villa comunale dove spesso rincorreva, naturalmente, i passerotti e, con lo spirito inquieto, i Suoi sogni.
A quest'epoca risale l'amicizia, davvero fraterna, con i germani Fino: Domenico, medico chirurgo, Gaetano e Vincenzo, avvocati, ed Antonio, amicizia coltivata per tutta la vita.
Quindi, il Nostro eseguì tutto il corso degli studi medi inferiori nel rinomato Ginnasio "Garopoli", distinguendosi sempre come "primo della classe", e conseguendovi, quasi fanciullo, a pieni voti, la licenza ginnasiale; poi passò al Liceo classico "Genovesi" di Napoli, dove, appena sedicenne, conseguì brillantemente la licenza liceale; e, infine, all'Università degli Studi di Roma, addottorandosi in lettere classiche il 29 giugno 1900 con il massimo dei voti e la lode proposta dal chiarissimo prof. Luigi Luciani, Rettore Magnifico. Discusse la tesi su "M. T. Cicerone scrittore, filosofo, oratore principe, statista e politico"
Il MAESTRO
Rientrato nella Sua città natale, fu chiamato al "Garopoli", dove insegnò ininterrottamente - salvo la parentesi del servizio militare di leva e poi la partecipazione alla prima Guerra mondiale - nelle classi 4^ e 5^, prima come incaricato - sin dal 1901 - e, subito dopo, come titolare, previo concorso.
Nel 1919 la Civica Amministrazione, in riconoscimento dei Suoi alti meriti di educatore, lo nominava Rettore del Convitto annesso al Ginnasio e, nel 1921, subentrava all'esimio prof. Benedetto Leoni, come Preside dello stesso "Garopoli", carica ed insegnamento che conservò fino al Suo collocamento in pensione (1937).
Come tutti gli Educatori nati, don Fortunato non volle concedersi il meritato riposo, cosa che gli avrebbe consentito, certamente, di condurre a termine un'opera interessante a cui aveva posto mano: un dizionario dei dialetti calabresi tradotti in italiano, -e perché no - anche una grammatica e sintassi greca o latina capace di far testo nei più rinomati atenei d'Italia.
Avrebbe potuto scrivere anche qualche saggio critico sui poeti italiani da Lui prediletti, tra i quali il Pascoli; o su Nicola Misasi, Suo conterraneo, al quale era legato da profonda amicizia.
Ma tanto disse e fece, da indurre la Civica Amministrazione ad istituire, nel novembre 1938, il Liceo Scientifico che Egli diresse con umanità e sapienza, come Maestro e come Preside, fino al giugno 1946.
Fortunato Bruno, in tutta la Sua vita, non conobbe che avversità ed amarezze (la Sua prima figliola, Teresa, volò in Ciclo in tenera età!). Le sole consolazioni a Lui date furono quelle dell'insegnamento, onde poteva ripetere col De Musset: "Giorni di lavoro, unici giorni in cui ho vissuto".
Tuttavia, la Sua fortezza d'animo non vacillò mai, neppure di fronte ai più grandi disinganni della vita, ed il Suo animo, davvero generoso e nobile, rimase, costantemente, aperto a tutte le forme di bontà e di solidarietà umana.
Dotato di altissimo ingegno poliedrico, Egli sentì, come pochi altri, che l'equilibrio, nell'ordine intellettuale, è modestia; e fu, sempre, modestissimo, anzi, umile, ed intese l'insegnamento come una missione.
Nobile di cuore, sentì che la prima legge morale deve essere l'amore per il "prossimo", e fu buono, immensamente buono.
Quale Maestro di chiara fama regionale dimostrò, in modo mirabile, che essere professore significa insegnare: insegnare con la parola, insegnare con la vita. L'opera del professore è tutta qui, nei suoi tre aspetti indissociabili, e qui sta la sua sacerdotale grandezza!
La grande singolarità del Nostro sta, appunto, nell'aver compreso e dimostrato a meraviglia questa semplice, ma grande verità: il professore è insegnante; e, quindi, nell'aver fatto della Scuola il perenne capolavoro della Sua vita nobilissima.
Perciò, il fascino che da Lui emanava inesauribile era particolare; il che è dimostrato chiaramente da quanto ci scrisse, a suo tempo, il nostro emerito, coltissimo, concittadino prof. Battista Prantera (residente a Roma da oltre un quarantennio): "Ho ricevuto il numero di "Cor Bonum" recante la notizia della morte dell'indimenticabile Fortunato Bruno. " E' superfluo dirti quanto mi abbia addolorato. "Io, pur non avendolo mai avuto come maestro, tuttavia ne conoscevo il grande valore, il cui giusto apprezzamento è legato ad un episodio della mia vita di studente, allorché, in uno dei miei ritorni estivi a Corigliano, ebbi con Lui una breve conversazione culturale.
"In quella occasione, mi feci l'idea del pensatore che dava a Lui, Maestro, la coscienza del proprio essere; del Maestro che aveva sempre a primo scolaro se stesso; dell'Uomo che, forte della sua nobiltà di scolaro, riassumeva intera la superbia del pensatore: questo il nobile ritmo del suo vivere.
"Ora piango la Sua morte, con te che hai avuto per Lui così nobili parole".
Inoltre, il Professore Bruno ebbe il grande segreto della lucidità e della chiarezza, facendo, così, Suo il motto del De Sanctis: "Ciò che non è chiaro non merita di essere capito".
E, con la chiarezza, una incisività scultorea. E come amava, teneramente, tutti i giovani (migliaia di giovani) che uscivano dal Ginnasio, dal Convitto e, infine, dal Liceo, i tre Istituti da Lui illustrati per circa mezzo secolo, forgiando, soprattutto, delle coscienze; giovani che, divenuti uomini, quasi sotto i suoi vigili occhi paterni, ed incamminatisi per le vie del mondo, Lo hanno, poi, ricordato, sempre, con immutata venerazione!
Le più recenti prove di questa singolare, intramontata, ricordanza affettuosa e piena di ammirazione, da parte degli ex alunni, le hanno fornite, a Roma, nel 1958, l'emerito prof. Andrea Di Benedetto, ordinario di latino nel liceo "Tasso" di Salerno, e, in seguito, il prof. dott. Vincenzo D'Afflitto e il prof. dott. veterinario Vincenzo Tapparella, entrambi dell'Università di Napoli.
Eguale stima ed ammirazione hanno dimostrato per l'educatore insigne tutti gli Ispettori del Ministero della P. I., dal prof. dott. Giuseppe Pucciano al prof. dott. Francesco Longi - entrambi di chiara lama -, i quali ebbero ad ispezionare, nel 1940, il Liceo Scientifico parificato e, nel 1961, quello statale.
Dal canto suo, don Fortunato non dimenticava un nome, non confondeva una figura. T'incontrava, e ineffabile saluto Suo arrivava come una ventata fresca alla memoria, dove, subito, si affollavano, rivivendo in una tenerezza indicibile, i cari, inobliabili ricordi dell'adolescenza.
Perciò Egli sa che, come insegnante, ha stabilito sulla propria statura intellettuale e morale un punto di riferimento sicuro, preciso, per conoscere appieno il nostro essere, i nostri bisogni e l'ufficio che la Provvidenza ci ha assegnato a compiere sulla terra. Sa di avere stabilito, con se stesso e su stesso, il nostro esempio, il nostro testimonio ed il nostro premio.
Italiano per sentimento, europeo per cultura, cristiano per fede e per tradizione, fu democratico, anche nella Scuola, per istinto: geloso della propria dignità, era rispettoso della dignità altrui. Lui Maestro (con la M maiuscola), non saliva mai in cattedra. Era una guida sicura, saggia ed amorevole per i colleghi ch'erano all'inizio della non facile arte d'insegnare, riuscendo a creare nella Scuola un vero clima di famiglia: al Ginnasio, prima, quando era nel fulgore delle Sue non comuni energie, e, al Liceo, in seguito, quando era profondamente amareggiato per la decadenza della cultura.
Una scuola, la Sua, spesso basata sulla quotidianità delle occasioni, pur sempre una scuola materiata di res, pur sempre una scuola come servizio da rendere all'altro.
Ha insegnato a guardare alla vita con altruismo e a credere che l'altro non è diverso da noi, se in quanto migliore di noi.
Ci fu un momento della Sua esistenza in cui tentò di approdare a Firenze, fuori dai confini regionali, ma ritornò presto sui Suoi passi.
Preferì continuare a rimanere nella Sua Corigliano, città alla quale fece il grande dono del Suo amore e della Sua saggezza, riuscendo ad aprire solchi profondi nel tessuto sociale.
Questo sacrificio di F. Bruno, ci fa capire tante cose, ci fa riflettere sui comportamenti di chi nasce in Calabria, sui rapporti di chi è andato via e di chi è rimasto, tra vecchie e nuove generazioni.
IL CITTADINO PROBO ED IL PATRIOTA
Quale cittadino esemplare, don Fortunato Bruno ha amato e servito la Patria in guerra, come tenente di fanteria sulle aride trincee del Carso, durante il biennio 1916-17, dove si comportò con ammirevole eroismo.
Tormentato da dolori artritici, contratti in quella campagna, si fece portare avanti, in prima linea là dove maggiore era il rischio, sorretto a braccia dai Suoi soldati, finché il Comando non l'obbligò a lasciare il fronte ed a rientrare in patria per curarsi.
Rimessosi in forze, servì ancora nella retroguardia, fino a tutto il 1918.
E fu sempre primo in ogni opera di bene, pensoso più che del proprio interesse di quello altrui e della collettività cittadina coriglianese, come quando, collocatosi in pensione quale preside del Ginnasio "Garopoli", volendo dare alla Sua diletta Corigliano un corso superiore di studi, tanto insistette presso il reggitore della cosa pubblica locale e presso le superiori autorità scolastiche che, nel 1938, come già accennato, fu istituito il Liceo Scientifico, (unico nella provincia di Cosenza fino al marzo 1948), chiamando attorno a sé, come collaboratori, Suoi ex allievi ed amici preparati.
Il 10 giugno 1940 eravamo nel refettorio del Convitto "Garopoli", e lì apprendemmo dalla radio che il Capo del Governo aveva dichiarato guerra alle democrazie occidentali. In quel momento, don Fortunato Bruno scambiò con me, istintivamente, uno sguardo di somma sorpresa e di sgomento. Egli, pur disapprovando nel Suo intimo quel conflitto, quale patriota e quale Educatore, non solo non manifestò mai il Suo convincimento, ma ogni volta che la Scuola venne chiamata a rincorare il fronte interno, dopo qualche vittoria in Africa, prima del definitivo collasso militare, o dopo qualche dura sconfitta, Egli parlò in pubblico, facendo professione di patriottismo intemerato.
Si rivelò più volte oratore formidabile, specie in occasione dell'inaugurazione del monumento ai Caduti della Prima Guerra Mondiale e dell'attiguo Viale Rimembranze e per la ricorrenza di un lontanissimo XX Settembre.
Uomo di vastissima e profonda cultura umanistica, accoppiata - caso molto raro - ad una cultura scientifica sorprendente; latinista e grecista davvero insigne, conoscitore e fine parlatore di tutti i dialetti; declamatore trascinante (chi dei Suoi allievi non ricorda che, leggendo il discorso di Carducci per Garibaldi, e, commentando, per esempio, "Monasterio" del Di Giacomo od il canto di Francesca da Rimini, il Maestro suscitava il pianto, ed il terrore quando spiegava il canto dantesco del Conte Ugolino?), visse modestamente e morì povero!
Durante gli ultimi anni, che furono intessuti di privazioni e sofferenze - sopportate con dignità ed eroismo si dedicò anche alle lezioni private per far fronte al sostentamento della propria famiglia e all'educazione dei figli. Perciò di Lui possiamo ripetere col Pascoli che era uno "di quei cari esseri che tirano con la rassegnazione dell'alfana il carretto dell'insegnamento tutti i giorni!".
Nella famiglia fu un esempio luminoso di amore coniugale e di abnegato amore paterno. Sincero sempre! Mai fu pronunciata da Lui parola non conforme al pensiero anche nelle conversazioni amichevoli in cui l'anima si espande.
Equanime, sereno, equilibrato!
Era un ottimista, anche se, talvolta, velato di malinconia; ma la sua filosofia non sconfinava mai nel pessimismo: amava la vita, dimostrava, in ogni occasione, tanta fede nell'avvenire ed aveva una grande fiducia nella perfettibilità dell'uomo.
Ma, se la Sua filosofia è - secondo l'insegnamento socratico -, innanzi tutto, conoscenza di noi stessi, di "ciò che veramente siamo per poter vivere coerentemente alla nostra vera natura", o se, invece, è sinonimo di saggezza, dobbiamo dire che, comunque, il professor Bruno, senza essere un filosofo professionale, ben può essere considerato tra i più grandi della "filosofica famiglia" di tutte le epoche. E lo ha dimostrato in tutte le manifestazioni della Sua vita.
Uno degli ultimi Suoi pensieri fu, proprio, per la Scuola. Forse, sentendo prossima l'ora del distacco, si fece sorreggere dai Suoi familiari per portarsi vicino al balcone della stanza delle Sue sofferenze fisiche, all'unico scopo di rivolgere l'estremo sguardo e l'estremo saluto al "Garopoli" (dove era entrato da bambino, sin dalle elementari!), quasi per benedire il lavoro dei colleghi ed i pensieri degli alunni. Colleghi ed alunni che Egli sapeva in ansia ed in preghiera.
E rese, dopo poche ore, la Sua bell'anima a Dio nella stessa veste di quell'umiltà che era stata la virtù costante della Sua condotta, dando, anche in ciò, prova di esemplare coerenza. Infatti, don Fortunato, che, in vita, aveva amato, con la musica e con tutte le cose belle del Creato, anche la venustà dei fiori, prescrivendo esequie modestissime (e senza fiori!), dava l'ultima eloquente prova della Sua possente e altissima personalità, ritenendo tale rinunzia quale abbandono del caduco, per presentarsi all'Eterno nella veste dell'Umiltà francescana praticata in vita.
NEL NOSTRO RICORDO
In noi tutti rimane il ricordo di un uomo generoso, affabile e virtuoso, stimato, riverito e
venerato.
L'alta statura, le quadrate spalle, le testa leonina, con quello sguardo, inconfondibile, di severità e, insieme, di dolcezza.
La Sua fibra calda sembrava fatta per lottare, vittoriosamente, col tempo.
Parte inscindibile di noi stessi, lo sentiamo ancor oggi inseparabile, perché Egli fu, perdutamente, legato alla nostra esistenza.
Egli non è entrato, per noi, nella leggenda. Gli anni trascorsi dalla Sua dipartita non hanno cancellato la serenità del volto, il suono della voce, il calore di umana simpatia che sprigionava dalla Sua presenza.
Non può essere dimenticato quel linguaggio semplice ed immediato, spontaneo e schietto, illuminato da lampi di arguzia e ricco d'immagini, il più vicino alla commozione; né l'invito a guardare alla vita con spensieratezza e con coraggio; né quei racconti di disarmante semplicità eppure sorprendenti e ricchi di sapore; né quegli anni vissuti insieme a scuola e rimasti come un'isola bella di contro all'arcipelago che poi si è venuto intanto a formare pallido sopra l'oceano nero.
Non può essere dimenticato il Suo ineffabile messaggio di saggezza, di didattica nuova, di scuola attiva, di umanità e di civismo. Né la Sua aspirazione verso una società più giusta ed equilibrata, in grado di garantire la libertà e la dignità dell'uomo.
Lui, protagonista e testimone, che ha saputo legare il Suo destino con quello della città risorgente, ancora oggi ci parla dei nostri problemi, si accosta alle nostre difficoltà, ci ammonisce a ricordare "nostra semenza", come Egli stesso direbbe, riferendosi a Dante che fu il poeta più vicino al Suo spirito.
La voce di don Fortunato non si è dispersa, dunque, fra le carte ingiallite del Liceo. Surge, essa, possente, dalle scaturigini della vita, in mezzo al pulsare di questa nostra esistenza agitata dalle passioni, dalle ambizioni e dai sogni, dagli sconforti e dalle speranze. Egli è qui in mezzo a noi, ancora e sempre, con l'aspetto caro del volto, con le parole che vanno al cuore, quando ammoniscono e confortano.
"La vita - diceva un grande giornalista come Mario Missiroli - va vissuta ma soprattutto scritta". Uno slogan, forse una verità o una scelta, che sembra dettato apposta per il Prof. Bruno.
Un uomo giusto, contemplativo nell'azione e attivo nella contemplazione.
Credeva nella maturità che si conquista non per acclamazioni, né a furor di popolo, ma per serio impegno.
Assolveva con slancio e dedizione al compito di aprire nuovi orizzonti culturali e umani davanti ai Suoi allievi, di infondere in loro dirittura morale e curiosità intellettuale, disciplina e senso critico.
Perciò, il ricordo della Sua "vita soprattutto scritta" viene consegnato non al respiro breve della cronaca, ma all'onda lunga del tempo.
Infatti, oggi, il Suo nome vive, eternandosi, nell'avvenuta intitolazione del Liceo Scientifico Statale, e sarà di lieto auspicio affinché le generazioni studentesche, attuale e a venire, traggano dall'esempio del Maestro saldezza di carattere ed uniformino la loro educazione alle più alte virtù civiche ed agli "eterni veri".
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