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Istoria Apologetica di Corigliano

di Pier Tommaso Pugliesi

Dal Padre Isidoro Toscano riportiamo i seguenti tre capitoli.

Caipolo XIV


Partenza di San Francesco di Paola da Spezzano.
Arrivo in Corigliano : fondazione della quarta sua Casa.

Partenza da Spezzano

 

Cinque soli anni dimorò Francesco in Spezzano ; ma in un solo lustro fece egli tanto, che per tutt'ì secoli potè rendere quel villaggio illustre, onde il nome di esso sempre più potè andarne pel mondo tutto, la sua gloria fastosa. Passato dunque tale tempo, allorché correa l'anno del Signore 1458, e dell'età di Francesco il quarantesimo terzo, arrivato di già molto prima il rumore strepitoso delle sue eroiche operazioni agli orecchi dei maggiori Principi, che in quel tempo signoreggiavano non piccola parte della Calabria, fu da questi ricercato con grande instanza, perché volesse egli ne' loro Feudi nuove case innalzare al suo Ordine novello. Fu tra questi, e il più sollecito, e il più divoto, Bernardino Sanseverini, il quale di poi fu terzo Prìncipe di Bisignamo, e ottavo Conte di Tricarico, ma in quel tempo solo era Conte di Chiaromonte. Era egli figliuolo di Girolamo Sanseverini, secondo Principe di Bisignano e settimo Conte di Tricarico, e nipote di Luca Sanseverini, il quale nell'anno 1467, ai 2 di marzo, fece compera di Bisignano, e fu tra' signori Sanseverini, il primo Principe della medesima città. Sua residenza però Bernardino facea, comechè per anco egli Principe di Bisignano non fosse in Corigliano, quale signore di esso; ed ivi stesso tenea pur sua moglie, la quale era Lionora Piccolomini, figliuola di Antonio, primo Duca di Amalfi. È Corigliano la più antica città delle più popolate, e delle più ricche della Calabria; e la più amena e abbondante, che nella riviera del Jonio mare rinvenir si possa. I suoi abitatori nobili sono al pari che gentili, alle lettere egualmente ed alla pietà disposti, a' governi in pace, ed all'armi puranche maestri in guerra, insuperati. In qualsivoglia dei narrati pregi fiorirono sempre in essa ragguardevoli personaggi,siccome di leggieri chicchesia rinvenir potrà appresso coloro,che con distesa penna le sue memorie scritte, e le sue laudi hanno pubblicate. Al presente possiede il titolo Ducale di essa la famiglia Salluzzi Genovese, avendola prescelta a dimora favorita quell'Agostino Salluzzi, che fu Doge di Genova, e che nel fiore de' suoi anni diede saggi di savio Cavaliere, di dotto Principe,e di prudentissimo Senatore. Puranche presentemente fioriscono in essa famiglie di prisco e chiaro sangue, le quali colle più nobili della Provincia imparentate, conservano de' gloriosi antenati, con non degeranti operazioni, l'onor primiero, ed accrescono soprappiù con nuovi pregi la gloria antica.Or a questo luogo convenne finalmente a Francesco, prendendo da Spezzano le mosse, e da' Spezzatesi congedo, dirizzare il suo passo. Avendo egli prima ricevuto l'invito da Bernardino Sanseverini, e da Lionora Piccolomini non solamente come Signori che erano eglino di quel luogo, ma eziandio dal Clero, e dal popolo di esso, che tutti unitamente aveano spedite persone in Spezzano, per offerirgli tutto il necessario aiuto per fondare in Corigliano, una nuova sua Casa. Era inoltre preceduta la necessaria licenza dell'Arcivescovo di Rossano, come Ordinario del luogo, il quale con non dissomigliante prontezza alla praticata dai due Caraccioli Arcivescovi di Cosenza, ne avea dato il consenso. E finalmente dall'Arcivescovo Pirro avutane ancora l'approvazione della partenza dalla sua Diocesi di Cosenza, si dispose a consolare quei Signori, ed a compiacere quel pubblico. Gli Spezzanesi restarono certamente rammaricati di sua partita; ma pure alla fine si diedero pace, riflettendo, che non doveano eglino soli essere partecipi dì quel bene; tanto maggiormente quando agli altri si comunicava senza diminuzione del loro, avendone dì già nella Casa, nella loro patria fondata, e ne' figliuoli che vi lasciava, non un solo ma molti pegni di patrocinio insieme, e di amore.

Arrivo a Corigliano

Partì dunque Francesco da Spezzano, ed arrivato non molto lungi da Corigliano, si vide uscire all'incontro, insieme co' Signori di esso, tutto il popolo, e tutto il Clero. Ordinossi intanto solenne processione, colla, quale fu egli in Corigliano introdotto, ed insieme con esso lui entrò puranehe una tale e sì grande allegrezza in città, che i più vecchi non si raccordavano di aver mai in essa veduta altra festa, o più lieta, o più universale, o più solenne. Benedicevano tutti quel dì fortunato per la loro patria, e da segnarsi a lettere di oro nei loro fasti, in cui raccogliendo entro le loro mura uomo sì santo, riceveano una sicura caparra dal Cielo, di dovere con esso avere tutte le grazie. Quelle strade e quelle piazze ammiravansi tutte gioire, e comechè incapaci di sentimenti elle fossero per la gioia, pure nondimeno le stesse pietre, con miracolo superiore alla loro natura la dimostravano manifesta con segni visìbili di meraviglie. Poiché Francesco nella maggiore Chiesa di Corigliano, dove andò a terminare la processione, solennemente fu ricevuto, nel palagio del Sanseverini ritrovossi apparecchiato reale albergo. Ma quivi neppure un solo giorno fece egli dimora, conoscendo stanze sì magnifiche non essere adattate né all'umile suo spirito,né al suo genio solitario. Con permissione dunque del suo magnifico ricettatore ritirossi egli in una piccola valle, non guari distante da quel palagio, e molto meno lontano dall'abitazione de' cittadini, dove tra quelle piante, che la circondavano, un rozzo stanzino a forma di piccolo Romitorio egli stesso colle sue proprie mani si edificò. Qui fu allora, e fu ancora in appresso il luogo del suo ritiro, dove conversando solamente con Dio, con Dio consultava in prima quanto di poi doveva eseguire con gli uomini.Presso questo suo ruvido e solitario albergo, in sito però più eminente, disegnò il Monastero, che essere dovea del nuovo suo Ordine la quarta Casa.

Costruzione del Monastero (la quarta casa di San Francesco)

 A farne il disegno convennero tra' primi i Signori del luogo, da' quali ricevette il necessario aiuto per recidere primamente quella selva di piante, che tenevano ingombrato quel sito. Indi i cittadini tutti, così ecclesiastici come laici, così nobili come plebei, così in fine uomini come donne, si diedero a gara alla fatica, per fare di tutto il materiale per la fabbrica il necessario apparecchio. In maniera che potè dirsi, quella Chiesa, e quel Convento, non solamente essere stati edificati coi miracoli di Francesco, come or ora vedremo, ma eziandio colla pietà, coll'umiltà, colla mortificazione, e sopratutto colla carità de' suoi divoti; i quali esercitandosi in così belle virtù, fabbricavano non meno un tempio materiale a Dio, ma un alro di gran lunga migliore ne innalzavano nel loro spirito,che tutto in ossequio di Francesco a Dio si consacrava.Il titolo della Chiesa di questa quarta sua Casa fu eziandio,come quello della Chiesa di Spezzano, la Santissima Trinità : ed inoltre ambedue queste Chiese riuscirono pure pressocchè uniformi nella grandezza, nel disegno e nel modello. Son lasciava intanto Francesco di abitare nel suo piccolo Romitorio, quivi prendendo breve sonno la notte sopra il nudo suolo,e tenendo per guanciale un gran sasso, che anche in oggi sta quivi alla pubblica venerazione esposto ; e nel giorno, quel tempo che dal travaglio gli avanzava; ivi stesso spendendo in altissima contemplazione elevato. Fu di poi questa celletta, allorché egli fu dalla Chiesa solennemente ascritto tra' Santi in una piccola Chiesolina mutata, dove concorre gran moltitudine de' suoi divoti, ad implorare sua mercé in qualunque pericolosa loro contingenza. Nel dovere egli buttare la prima pietra nelle fondamenta di questa Chiesa, tenendo quella nelle sue mani, interrogò quei cittadini se mai in quella loro patria fossero entrati i Turchi per depredarne le case, se mai in quella loro città fossero comparsi i grilli per devastarne le campagne? E rispondendo tutti unitamente di no; egli così loro soggiunse: or sappiate che quando verrà meno questa pietra, allora i vostri posteri da questi nemici saranno afflitti; in ciò dicendo buttò la pietra, e si die principio alla fabbrica.

Si avverano le Profezie di San Francesco

Venne per l'appunto meno la pietra nell'anno 1596, allorché fu la Chiesa ad Ecclesiastico interdetto sottosopra per certa lite di giurisdizione che ebbero i Religiosi di questo Monastero coll'ordinario del luogo. Ed allora fu che da tutta questa città, da innumerabile moltitudine di grilli si vide ingombra, con grave ed universale danno delle biade, delle piante, e delle vigne; onde tutti quei cittadini pangevansi miseramente impoveriti. Fu tra questi Adriano Macrì, il quale rammentossì della predizione del Santo, ed animò i compatriotti a procurarne il rimedio. E bene egli certamente si appose, perché appena si aprirono le porte della Chiesa, che dissiparonsi immantinente quei grilli; tutti uniti in forma di esercito andarono a sommergersi in mare, ed il mare vomitandogli al lido, quivi se ne videro intieri mucchi estinti. Entrarono anche indi a non molto i Turchi nelle riviere di Corigliano, e quando stavano già presso alle mura, con due miracoli comprovò Francesco, ed il patrocinio che tenea dei Monastero, e la difesa in che avea questa patria. Al timore dei Turchi fuggirono tutti i Religiosi dal Convento, e ve ne restò solamente uno, il quale per la vecchiaia, impotente era a fuggire. Questi diessi a raccomandare vivamente, non meno se stesso che il Monastero a Francesco, ambedue sprovveduti di ogni altro aiuto fuorché del suo, il quale sperava di dovere essere il più sicuro, siccome credeva certamente che fosse il più potente. Così dicendo gli apparve visibilmente Francesco, il rincorò, il consolò; e perché né egli avesse occasione di temere, nè la sua casa sogiacesse a pericolo di perire, dietro la porta maggiore del Monastero pose una canna, e con questa sola, comechè debole e fiacca ella fosse, mostrò fortemente di puntellarla. E così fu; posciacchè indi a non molto venendo una branca di quei barbari a spingere quella porta per depredare il Monastero, tutta la loro violenza non fu bastevole per aprirla. Di questa canna un gran pezzo se ne conserva in Corigliano, adorna della, pietà de' devoti, con vaghi lavori di fino argento, ma molto più venerata con sensi i più teneri del loro gratissimo amore. Fu questo il patrocinio che mostrò Francesco per la sua Casa; parliamo ora della difesa, che intrapese in benefizio di Corigliano. Erano di già i Turchi arrivati alle sue mura per dare l'assalto, forzavano le sue porte, bersagliavano con continui tiri le sue difese, ma tutto in vano. Non perdettero mai il loro coraggio i valorosi cittadini, si esposero per la maggior parte a difendere la patria col sangue, intrepidi accorrevano sempre dove vedeano che l'impeto dell’oste inferocita dalla loro resistenza era maggiore. Finché soverchiati in un luogo da una gran moltitudine di nemici, stavano quasi in punto di volgere le spalle, e cercare colla fuga alla loro vita lo scampo. Allora fu che un vecchio ed assennato cittadino si fece loro all'incontro e gli animò fortemente dicendo : che resistessero pure che il loro Protettore S. Francesco di Paola, era in armi a loro difesa. Bastò questo per far ritornare lo smarrito coraggio nel petto de' cittadini, onde eglino impresero nuovamente a ributtare i nemici ed a disputare loro colla propria vita nella loro patria l'entrata. Cedettero finalmente quei barbari, veggendo, che le loro palle, arrivando a quelle mura, cadevano a terra senza offenderle; che de' loro soldati ne cadevano in numero maggiore de' colpi ch'essi tiravano ; e finalmente che fresca e nuova squadra da un alto luogo veniva in difesa de' cittadini. Allora il Comandante suonò la ritirata, pronosticando infausto evento all'impresa, e da un panico timore assaliti fuggirono tutti i soldati a cercare nelle loro galee più sicuro lo scampo.Così restò Corigliano difesa da Francesco nel Cielo, allora appunto che i suoi cittadini conobbero, essersi ormai avverato quanto Francesco predetto avea del suo Monastero, e della loro patria, quando era interra. Comechè questi sieno miracoli succeduti dopo la morte di Francesco, abbiamo però stimato bene apportarli in questo luogo, per la connessione che hanno colla fabbrica di questa Chiesa di cui abbiamo qui ragionato. Maggiori nondimeno sono i miracoli, che nello edifizio di questa casa avvennero; e per poterli contare in qualche parte, senza confusione, e senza noia, soggiungiamo il capitolo che siegue, dove non meno delle più virtuose operazioni, che in Francesco furono in Corigliano osservate, che delle più meravigliose ve ne furono.

 

Caipolo XV


Vita che Francesco menò in Corigliano
 
Se la fama delle virtù di Francesco fece desiderarlo da Corigliano, essendo egli lungi dalle sue mura; la esperienza che di poi fece della vita di lui, operò che molto maggiormente l'amasse, avendolo di già dentro il suo seno. Qui egli visse con vita tutta insieme da Anacoreta e da Apostolo; vivendo or nel suo piccolo deserto, tutto al rigore col suo corpo, ed al godimento col suo spirito, che tanto più strettamente con Dio si univa, quanto più il suo corpo rigorosamente trattava : or nell'aperto delle piazze, vivendo tutto al profitto degli uomini ed alla maggior gloria di Dio. Non fu pago in Corigliano di predicare cogli esempi, predicò ancora colle parole; le quali accompagnate dalle sue virtuose operazioni, aveano non minore forze per convincere le menti, che per muovere i cuori di coloro che le ascoltavano. Furono perciò non meno meravigliose che numerose le conversioni, ch'egli vi operò. Basti il dire, che avendo trovato quel luogo nel primo arrivo ch'egli vi fece, quale orrido bosco, ove altro non nasceva che spine di vizii, e in gran numero si appiattavano fiere di viziosi, egli il rendette di poi vago giardino, per le belle virtù che in subito fece fiorirvi, con istupore degli stranieri e con profitto dei cittadini. Rappacificò gli animi ostinati in nimistà crudeli, e di tutto quel popolo, numeroso per moltitudine, vario per inclinazione e mutabile di genio, fece che se ne ammirasse un'anima, e un solo cuore. Le restituzioni del male acquistato furon così frequenti, come ordinarie prima erano state le rapine, ed usuali i ladronecci. Nelle donne, di cui tanto quel paese abbonda, fece comparire gareggiante colla venustà la modestia; onde al loro incontro non più pericolava la gioventù incauta, che suole per ordinario precipitare, per non serrar gli occhi a tempo, e per non aprirli a misura.Una fra le altre che furono moltissime, di queste meravigliose conversioni, che in Corigliano egli fece, da antichissimo scrittore delle sue cose ne abbiamo già parlato. Siccome le altre tre precedenti sue Case fabbricò Francesco co' suoi miracoli in buona parte, così pure quest'altra, che fu la quarta, edificò in Corigliano col consueto capitale delle sue meraviglie. Certo Luigi Romeo era uno de' più intimi divoti che tra i Coriglianesi avesse Francesco. A questi egli chiese un piccolo suo podere che stimava necessario al sito del Monastero, al quale era da presso, e che senza questo, angusto si rendeva di molto, ed incapace di quanto nella pianta formato ne aveva antecedentemente il disegno. Luigi prontissimo fu a concederlo, e Francesco gli fece allora sapere, che la sua prontezza non solamente gli donava il sito per la fabbrica, ma eziandio le pietre per fabbricare. Non erano pietre in quel podere, che servissero per quell'uso, onde Luigi non capì bene di quali pietre gli favellasse Francesco. Ma l'intese poi quando Francesco fece scavare le fondamenta, ed in esse ritrovò un gran pezzo di muraglia antica, le cui pietre non solamente bastarono per le fondamenta, ma eziandio servirono in buona parte alle mura esteriori. Infatti Luigi nulla sapea di quella muraglia, nulla di quelle pietre, ancorché egli fosse stato per molto tempo padrone di quel terreno, entro cui stavano seppellite. Francesco però ritrovolle per miracolo di superiore Provvidenza, che coi modi più portentosi soccorreva sempre al principio, ed al proseguimento delle sue fabbriche. Con tutta l'abbondanza di queste pietre pur si penuriava di pietre da calcina, delle quali in gran quantità ne era bisogno,e quivi presso neppure se ne trovavano in piccola quantità.

I Miracoli di San Francesco

Francesco, giusta il suo consueto, die' di mano ai miracoli. Disse agli operai, che scavassero in un luogo da lui designato, perché ivi troverebbero le pietre, delle quali eglino abbisognavano. Ubbidirono quelli, ed ai primi tiri delle loro zappe, scoprirono una gran vena di pietre da calcina, con cui ne formarono più fornaci, e ne fabbricarono e Monastero e Chiesa. Fra le fornaci, che ne fecero, la prima si vide vicina a un gran pericolo di perdere tutto. Avanzatosi a dismisura il fuoco, fece molte fessure per più o vedesse in procinto. Alla fine ne avvisarono Francesco, e onesti vedendone il pericolo, disse loro: che andassero a ristorarsi col cibo,e lasciassero a lui la cura di riparare a quel precipizio. Allora egli, ammassato alquanto di terra coll'acqua, entrò intrepido nella fornace ,e con quel loto otturò le fessure, riparò la fornace, ed uscì illeso da quell'incendio. Gli operai, che di soppiatto l'osservarono, non si poterono contenere di celebrarne alla palese il gran portento. Ma egli s'ingegnò di far loro capire, che quelle meraviglie si operavano da Dio, non per merito di se stesso, che se ne confessava indegno, ma per onore di lui, che dovea essere adorato in quella casa, alla cui fabbrica doveano servire quelle fornaci e quelle pietre.A questi stessi operai, che in gran numero assistevano alla fornace di già riparata, poscia Francesco fece dono di alcuni fichi secchi, ch'egli portati avea loro nella manica. A ciascuno di essi ne donò due, ma a Giovanni Magrino, che ricevuta avea la terza Regola del suo Ordine, di tre volle far dono. Era questo Giovanni cittadino di Corigliano, uomo assai benestante, ed a Francesco sopra gli altri anche il più caro. E donandoli i suddetti tre fichi, dissegli: figliuol mio, sappiate, per carità, conservare questi tre fichi, e conservateli sempre intieri e sempre uniti; altrimenti, se voi li dividerete, tutte le vostre ricchezze serviranno per alimento alle fiamme. Avverossi la profezia, non già nella persona di Giovanni, che per tutto il tempo in cui egli visse, conservò i fichi con diligenza, e li custodì con gelosia; ma in uno dei suoi discendenti, il quale pago di ritenerne presso di se due soli, dell'altro al Padre Giambattista di Angelo. dell'Ordine dei Minimi, suo molto caro amico, fece dono. Ma non guari appresso ne sentì egli la pena, dacché nella vegnente notte la sua casa restò da improvviso incenerita, e non molti giorni di poi tutto il suo bestiame rimase estinto; onde il cattivello si vide astretto a mendicare vergognosamente il pane, per potere miseramente mantenere la mia vita.La sorte finalmente di quei tre fichi andò in tal guisa.Quei due, che restarono presso il Magrino, insieme con tutto il mobile della sua casa, furono pabolo alle fiamme; né di essi mai tra quelle ceneri rinvenir se ne potè alcun segnale. L'altro, che al suddetto P. Giambattista da lui fu donato, pervenne di poi nelle mani di Giambattista Sollazzo, facoltoso uomo di C'origliano, il quale entro un vaso di cristallo il rinserrò, e sommo studio pose nel conservarlo fra le sue più care, e nel venerarlo fra le sue cose più sante. Da Giambattista Solazzo passò poi a Baldasarre suo figliuolo ed erede, e da questi è pervenuto a D. Francesco Solazzi-Castriota, figliuolo parimenti ed erede di Baldasarre. La cortesia di D. Francesco, che al presente ne custodisce il bel tesoro, or sono dieci anni, diede a noi il comodo di considerarne insieme e di ammirarne il gran portento. Fece anche egli un altro gran miracolo in occasione che tanta gente adunata avea, per fabbricare gli acquedotti da condurre certa acqua in Corigliano. Comechè le campagne di Corigliano molto abbondassero di acqua, entro però delle sue mura non poco ne scarseggiava. Venia perciò puranche a patirne il mancamento il nuovo Convento, onde per provvederne e la Casa di Francesco, e la loro patria, a Francesco medesimo stimarono bene i Coriglianesi di porgerne le loro preghiere. Ritrovavasi l'acqua sulla cima di un vicino monte, ma il condurla in Corigliano malagevole impresa si riputava, in guisa che quei cittadini in più volte l'aveano abbandonata, disperando di poter portarla colle loro forze a fine. Francesco salì sul monte per osservarla, e di poi che l'ebbe veduta, la benedisse e le comandò nel notale di Gesù che il seguisse. Indi col suo bastone facea la traccia in terra, per dove l'acqua dovea passare e l'acqua meravigliosamente il seguiva, finché al Monastero la condusse prima, e poi a più piazze di Corigliano la dispensò. Il cammino fu più di una lega, ma le strade erano così scoscese e tramezzate da colline e valli, che anche in oggi con meraviglia se ne osserva il modo e se ne gode il fine. L'acqua nuova di S. Francesco di Paola presentemente quell'acqua viene chiamata; ed è ella un continuo ricordo della beneficenza di Francesco alla gratitudine di Corigliano.Perché in appresso continuar potesse il corso dell'acqua, fu giudicato opportuno farla correre negli acquedotti. Molta gente a quel lavoro fu applicata, in maniera che trecento operai si annoveravano. Furono questi una volta saziati tutti da Francesco con un solo fico. Furono in altra volta resi tutti satolli con una sola focaccia. Fra quelli che assistevano al lavoro, ritrovavansi alcuni nobili uomini del paese. A questi due donne portarono due focacce ; eglino ne mangiarono una, essendo Francesco da lor lontano. Ritornò questi, e trovata l'altra focaccia nelle loro mani, la prese nelle sue, con dir loro : voi avete ben fatto col ristorarvi ; ma è bisogno che quest'altra gente ancor si ristori, perché la grazia di Dio è dovere che sia per tutti, e non per pochi. Ciò detto alzò gli occhi al Cielo, benedisse la focaccia, e la distribuì a quei trecento operai, che tutti ne mangiarono a sazietà. Il figliuolo di Bernardino Sanseverini dal quale fu Francesco Chiamato in Corigliano, e che Pier Antonio Sanseverini diceasì, chiaro nelle storie, per la grande stima, che di esso fece l'Imperatore Carlo V, quando egli nella venuta di questo nel Regno, di già Principe di Bisìgnano si ritrovava, infermo era allora in Corigliano di apoplesia. Comechè i più valenti uomini nella professione del medicare adoperati si fossero per fargli riacquistare la salute, l'ostinazione però del suo male resi aveea tutti i loro rimedi inefficaci, e le loro curee infruttuose. Convennero alfine i medici, che la sola cura dì Francesco potea assicurargli la vita, dacché eglino confessavansi impotenti a liberarlo dagli evidenti pericoli di morte, cui soggiaceva. Infatti fu Pier Antonio raccomandato a Francesco, e questi con un solo raccomandarlo a Dio, gli restituì la salute perduta, e gli assicurò la vita pericolante. Era una donna a Corigliano, paralitica da molto tempo,ma che oltre alla paralisi, da uno strano accidente di aploplesia ritrovavasi priva dell'uso di metà di sua persona, onde in letto confinata, anzi inchiodata, di continuo giacea. Acerbi erano inoltre i dolori che l'affliggemmo in quella parte di se stessa, in cui avea sentimento e vita; ma fuor di maniera inconsolabili erano le sue smanie, quando dai medici sentiva sentenziarsi il suo male incurabile e disperata la sua salute. Al sentir essa le tante meravigliose cose, che narravasi di Francesco, volle essere a parte delle sue grazie. Tanto fece, tanto disse, che alla presenza di lui si fece trascinare; e veggendolo', parlando più colle lagrime, che con le parole, gli chiese umilmente la salute. Comandolle Francesco in risposta, che si alzasse dal misero letticciuolo in cui giacea; ella nella sua obbedienza trovò la grazie che sospirava; ubbidì, si alzò, e si trovò tutta sana, come se mai inferma fosse stata. Finalmente, per dar fine a questo capo, a due presso che ciechi assicurò Francesco in Corigliano la vista. Era uno in pericolo di perderla affatto, a cagione di un catarro che fortemente lo tormentava; era l'altro in gran timore di averla affatto perduta, dacché dalle tenebre in fuori nulla distingueva negli oggetti che guardava. Il primo lo assicurò col dirgli che il suo male non era grave; al secondo la restituì col fargli un solo segno di Croce sulle spente pupille. Altre maraviglie di minor conseguenza furono da Francesco in Corigliano operate; ma di esse non si tenne conto, perché lo strepito delle maggiori soverchiò l'enfasi del loro stupore. Intanto lasciò egli di dimorare oltre in Corigliano, ma non lasciò di amarlo; dacché sebbene lungi da esso, pure gli continuò il patrocinio in ogni luogo, e dentro le stesse site mura perseverò a vivere alla difesa di esso, moltiplicato nelle persone dei suoi figliuoli

 

Caipolo XVI


Ritorno da Corigliano a Spezzano

L'agio che avea Francesco in Corigliano, a poter vivere in quel piccolo suo Romitorio, segregato dagli uomini e unito a Dio, era da un'efficace argomento a far sì, ch'egli più lunga facesse in Corigliano la sua dimora. Ma dall'altra il grande amore de' signori Sanseverini, il grande ossequio da' Coriglìanesì tutti e l'universale stima, nella quale e dagli stranieri, e da' cittadini era tenuto, erano sproni troppo acuti a far sì che egli alla partenza si disponesse. Mal sofferiva l'umile suo cuore quelle lodi, che a lui partorivano le sue stesse azioni; e accusava sovente dì persecutori della sua. persona quegli uomini, che pensavano fare giustizia alle sue virtù, accompagnandole calle loro laudi. Benché dunque il ritiro di quel solitario albergo piacesse molto al contemplativo suo spìrito, il carteggio pero di quel popolo adoratore molto più dispiaceva all'animo suo spassionato; e tanto appunto, che alfin prevalse al dilettamente dell'uno, l'orrore che avea dell'altro, onde senza frapporre altro indugio alla partenza si accìnse. Intorno a due anni fec'egli in Corigliano dimora; dopo il qual tempo, correndo l'anno del Signore 1460, e di sua età il quarantesimo quinto, preso dai Signori Sanseverini e da' Coriglianesi congedo, alla volta di Spezzano, donde prima partì per portarsi in Corigliano, dirizzò di ritorno il suo passo. Ancorché egli partito fosse da Corigliano, gli restò però sempre impresso nel cuore e un ardentissimo amore verso quella quarta Casa, e una amorevolissima gratitudine verso que' suoi gentilissimi benefattori. E chiaro argomento in quella lettera, ch'egli scrisse fin dalla Francia a Eleonora Piccolomini, già Principessa di Bisignano, nella quale costituì lei ed il Principe Bernardino, già nominati, Procuratori di quel Convento, facendo loro parte di quegli amplissimi privilegi, che l'Apostolica beneficenza a prò' di tutti i Procuratori delle Case dell'Ordine avea, a richiesta di Francesco, poco prima conceduti. Lasciò pure il Convento di Corigliano bastevolmente provveduto di Religiosi, i quali continuare potessero gli esempi di virtù che egli vi avea lasciati, e servirono questi per mitigare l'aspra pena, nella quale immersa giacca quella gente, per la sua dolorosa partita, Infatti in ciascun di coloro riverivano quelli una immagine viva di Francesco ; ed oltre all'abito, che ne portavano consimile, vi scoprivano puranche la ritiratezza, la carità, l'umiltà, e tutto lo spirito del loro Padre, vivamente espresso nei suoi figliuoli. Il perché avvenni-, che continuarono poi sempre in seguito gli argomenti di amorevolezza, e di stima i signori ed il popolo di Corigliano, verso i figliuoli di Francesco, che prima verso di Francesco stesso aveano dati. Onde fu, che in breve arrivò quel Convento a possedere rendite ampissime, mercé alla divozione di quella gente, che le fornì, ed alla cura di quei primi nostri Padri, che ebbero non minore merito per acquistarle, che zelo per mantenerle. Talmente che siccome in tutto l'Ordine il convento di Corigliano è il quarto di numero, così nella Provincia del Santo Padre, per ragione di rendite, occupa ancora il quarto luogo.

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