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La venuta di San Francesco di Paola a Corigliano Calabro
Per quanto concerne il miracoloso passaggio dello Stretto di Messina da parte del nostro santo, già il grande storico dell'Ordine dei Minimi, padre Giuseppe Roberti, rilevava la difficoltà di accordare la data del 1464 con quanto emerge, invece, dai Processi1. Per alcuni storici il taumaturgo paolano viene a Corigliano Calabro il 1478-1480, ma non ci sembra tanto accettabile, perché Francesco di Paola viene invitato da Girolamo Sanseverino per guarire il figlio Bernardino, che nasce nel 1475 e affetto subito da un male incurabile; per altri, tenendo conto dell'approvazione pontificia Sedes Apostolica del 17 maggio 1474 di Sisto IV, dal 1475 al 1477 partendo da un'affermazione del Pontieri riguardante la costruzione del convento di Castellammare di Stabia nel 1477, ma lì San Francesco non andò personalmente, ma vi mandò alcuni religiosi: «...anno in cui il santo istitutore, dietro invito della cittadinanza stabiese e con l’autorizzazione del vescovo del luogo, inviò al piccolo santuario alcuni religiosi» e «ne erano stati espulsi per ordine del re Ferrante d'Aragona, mal prevenuto dall'invidia e dai pretesti dei suoi cortigiani» né erano completati e, anche in questo periodo, «alcuni abitanti di Maida si recarono a Paterno Calabro per chiedere la presenza dei frati minimi nel loro paese»; mentre per quanto concerne la costruzione dell'eremo di Crotone, a nostro avviso, la data dovrebbe essere posteriore al 1483, dopo la partenza del santo per la Francia; San Francesco di Paola, ottenuta l'approvazione nel 1474, si reca nei luoghi dove è stato invitato per prima, e Paterno diventa il centro della sua dimora; per la costruzione degli eremi (Spezzano della Sila, Corigliano Calabro e Milazzo): certo, si può calcolare con una certa esattezza l'anno del suo arrivo in queste città, ma non l'anno preciso in cui se ne va: è un eremita dinamico, in questo periodo molto impegnato nella costruzione degli eremi che vengono eretti quasi in contemporaneità. D'altronde quale migliore occasione per non andare a Castellamare di Stabia nel 1477 per riprendere un rapporto amichevole con il re Ferrante d'Aragona? E, invece, lì invia dei frati, perché lui è impossibilitato. Perché non andare a Maida, dove in questo tempo, si costruisce l'eremo e che nel 1480 è finito? Infatti, vi passerà, quando nella primavera del 1480 andrà in Sicilia: San Francesco di Paola non predilige nessuno e, quando prende degli impegni, li porta a compimento, anche perché sa che ha poco tempo a sua disposizione, avendo già profetizzato ai suoi frati, che dovrà andare in Francia. San Francesco di Paola viene più volte a Corigliano Calabro nel 1476, dopo aver iniziato l'eremo di Spezzano della Sila dedicato alla Santissima Trinità nel 1474, e, come abbiamo già affermato, su istanza di Girolamo Sanseverino, secondo principe di Bisignano e conte di Corigliano Calabro dal 1472 al 1487; l'erede Bernardino, viene guarito da un male incurabile di cui soffriva in tenera età, dallo stesso San Francesco durante questo soggiorno a Corigliano Calabro. Sottolineiamo questa data non per fare sottigliezze inutili per un anno, ma soprattutto in riferimento alla vecchia data del 1458 ed anche per sottolineare l'esattezza degli storici minimi: andando all'indietro dalle testimonianze rese al Processo Cosentino nella seduta tenutasi a Corigliano Calabro il 19 gennaio 1513, i testi parlano di fatti che hanno visto da circa trent'anni e arriviamo così al 1483 e pensiamo che possiamo scendere di qualche anno, ma non di più; anche padre Morosini, nella sua ultima opera, porta la data del 1476 e aggiunge che «nel 1482 (Francesco) si trova in Sicilia: la cronologia tradizionale lo data (il viaggio in Sicilia) nel 1464, ma già padre Roberti, rilevava la difficoltà di accordare tale data con quanto emerge, invece dai Processi. Dalla deposizione dei testi, infatti risulta che (il viaggio in Sicilia) fu compiuto dopo il 1480. Sappiamo che nel 1482 egli è ancora in questa città, perché qui giungono anche gli inviati del re francese Luigi XI per invitarlo a recarsi con loro in Francia, ma non lo trovarono, forse perché era già partito per ritornare in Calabria: da questa data, cioè, dal 1482, possiamo finalmente ricostruire con una certa esattezza storica la vita del santo di Paola»; anche Pier Emilio Acri, Crescenze Di Marino, Stefano Scigliano e, con loro, altri storici coriglianesi come Enzo Cumino e Giulio ludicissa, portano con sicurezza il 1476: «La devozione popolare conobbe proprio nel periodo più triste per la Chiesa, una stagione di fioritura che non ebbe pari in seguito; stagione preannunziata in Corigliano dalla venuta e dalla permanenza di Francesco di Paola che qui fondava la quarta casa del suo Ordine intitolandola alla Santissima Trinità». Secondo gli studi di Rocco Benvenuto, che si basa su Lanovius, su Montoya e su Francesco da Longobardi, la data precisa è anche quella del 1476. Fondamentale per la datazione del 1476 è quanto dice nel suo Chroniconn, il Lanovius che, come già riferito dai nostri storici più recenti, risulta attendibile perché è testimone di quello che narra e perché quello che riferisce di non suo lo riprende da altri che sono testimoni di quanto hanno esposto nei loro libri e ancora perché anche queste ultime notizie le riferisce con una buona critica e discussione dei dati. Il Lanovius, a pagina 326 del suo Chronicon interrompe un tantino la sua esposizione della storia del nostro Ordine per notare: «Ma neppure al presente possiamo nascondere che i nostri frati di Corigliano per ciò che riguarda una certa casetta che il beato padre nostro aveva eretto per se stesso alla distanza di un lancio di sasso dal resto del fabbricato per ivi dimorarvi più segretamente, costruita da 120 anni, ma ora o per la vetustà o per altra causa cadente, hanno segnato intorno il tempio (dotandolo) di maggiore spazio, conserva (come si doveva) a motivo del rispetto di quella più antica certamente. Tale fatto Dio dimostrò gradito e accetto attraverso i molti miracoli successivamente accaduti presso il ritratto del nostro santo padre che in quel luogo rimaneva: a testimonianza di ciò il nostro Montoya ha riferito più notizie. Si tratta di un fatto di consuetudine sicuro, che l'immagine menzionata costituisce il segno di pioggia futura se, quando si invoca dal cielo, emette sudore in gran quantità (è interessante notare che già allora si parla di questo fenomeno, che poi, come vedremo, se ne parlerà durante i lavori di restauro del romitorio del 1975)». Ora, l'autore data ciò nel 1586 dalla sua esposizione; ma a noi interessa come testimone del tempo. La sua opera ha infatti la prima approvazione il 29 agosto 1632, per cui se togliamo 120 anni si giunge facilmente al 1512: è l'anno in cui fervevano i preparativi per beatificazione del nostro San Francesco di Paola nel 1513. Per cui se il Lanovius è abbastanza preciso in questa citazione, non comprendiamo perché non dovrebbe esserlo quando afferma che il convento di Corigliano Calabro è stato costruito nel 1476-1478, e con lui il Montoya e Francesco da Longobardi. Importantissimo è l'incontro di San Francesco di Paola con i Sanseverino a Corigliano Calabro per ciò che accadrà in futuro: nel 1483, San Francesco di Paola scrive dalla Francia le sue prime due lettere proprio alla città di Corigliano, delle quali abbiamo già scritto, e la destinataria della missiva è Mandella Gaetani, moglie di Girolamo Sanseverino, principe di Bisignano e conte di Corigliano per ringraziarla per quanto stava facendo a favore dell'eremo coriglianese, dedicato alla Santissima Trinità, e li nomina procuratori degli eremi calabresi. Ritornando alle vicende politiche di Corigliano Calabro: è interessante, poi, notare che Girolamo fu arrestato insieme con altri baroni il 1487 (dopo la cosiddetta congiura dei baroni), mentre Bernardino Sanseverino «esule in Francia con la madre Giovanna, fu benvoluto da Carlo VIII, grazie anche all'intercessione di San Francesco di Paola» Pietrantonio Sanseverino seguì fedelmente la politica della Spagna e ratificò i Capitoli e Grazie, che si conclusero con la seguente dicitura: Datum in nostra terra Mofani 1° mensis Augusti 1530,Ina. XIII. L'imperatore Carlo V visitò le sue terre e, per l'accoglienza ricevuta dal 9 al 12 novembre 1535, nella riserva di San Mauro di Corigliano, domandò con compiacimento: «Ma voi siete il principe o il re di Bisignano?». Pietrantonio fu insignito della più alta munificenza spagnola, cioè del Toson d'oro, con cui fu innalzato alla più alta dignità delle Cortes. Le sue spoglie furono tumulate dietro l'altare maggiore della chiesa di San Francesco di Paola, ma furono disperse in seguito ai terremoti: quanto affermato è importante per noi, perché la prima ristrutturazione della chiesa e del convento avvengono in questo periodo, in cui si nota una considerevole rifioritura economica. Di Girolamo: «Rinchiuso nelle segrete di Castelnuovo, di lui non si ebbe più notizia dopo il gennaio 1488. Isuoi figliuoli, giovinetti, poterono scampare per l'accorgimento e la risolutezza della loro madre, Giovannella Gaetani, che, sotto specie di recarsi a far le sue devozioni alla chiesetta di San Leonardo sulla spiaggia di Ghiaia, salì in una fusta che aveva nascostamente noleggiata, e ricoverò in Francia». Per capire in quale società e Chiesa mondanizzata abbia vissuto il nostro santo e sia, poi, diventato riformatore, è sufficiente portare questo esempio: nel maggio 1507 Bernardino Sanseverino (colui che era stato guarito da San Francesco) tornò a Napoli, dove nell'ottobre lo raggiunse la moglie Eleonora Todeschini Piccolomini, che egli «fece uccidere nel 1511 avendo scoperto il di lei amore per il cardinale Luigi Borgia»
San Francesco di Paola benedice la sua Calabria nell'affresco sulla facciata della chiesa di Corigliano
L'affresco posto sulla facciata della nostra chiesa è unico nel suo genere, perché riporta San Francesco mentre benedice la sua" Calabria, si è voluto immortalare questo momento forte e delicato della sua vita, proprio nel convento di Corigliano Calabro, essendo allora il più vicino al monte Pollino. L'affresco, deteriorato dal tempo, è stato sostituito nel 1958 dal mosaico tuttora presente, offerto a devozione di Alessandro Attanasio. Il 2 febbraio 1483 San Francesco con alcuni suoi compagni partì, a piedi, per Napoli portando con sé un asinello al quale aveva dato il nome di Martinetto; ci viene facile immaginare che, dopo aver salutato i frati di Paola, passa dai frati di Spezzano della Sila ed anche da Corigliano Calabro per salutare i suoi figli; così come immaginiamo che qualche frate di Corigliano Calabro lo abbia accompagnato nei pressi di Campotenese, ai confini con la Basilicata, dove Francesco dal monte Sant'Angelo benedisse per l'ultima volta la sua Calabria. Nell'affresco il nostro santo è dipinto come se qualcuno avesse raccontato il commovente distacco; notiamo: sui monti vi è la neve e siamo in febbraio e, quindi, la scena è veritiera; San Francesco ha stranamente la barba lunga e bianca, segno di saggezza e dell'età, perché si avventura, certo guidato dallo Spirito Santo, in questo viaggio in una terra straniera a 67 anni; i suoi occhi sono rivolti verso il libro della benedizione, tutto intento ad affidare al Signore la sua amata terra natìa. Il fatto che San Francesco legga il libro della benedizione, è un'ulteriore conferma che sapesse leggere. In questo sguardo di benedizione vi è tutto l'amore per la gente semplice della sua Calabria, povera ed indifesa, sacrificata e mortificata dai continui soprusi perpetrati dalla Corte di Napoli e vi sono le moltitudini che a lui ricorrevano nei momenti di tristezza e di bisogno: vi è tutto questo nella sua mente e nel suo povero cuore, a quel grande cuore che di fronte alle umane disgrazie, aveva attirato con la più fervente delle preghiere l'intervento di Dio, portando ovunque la guarigione del corpo e dello spirito. La scena è riprodotta con la figura di San Francesco tutta intera, maestoso e commosso, alto e solenne, consapevole che quella benedizione era per sempre sulla sua amata Calabria, perché lui sapeva certamente che non sarebbe più ritornato nella terra natìa.
La chiesa e il convento dei Minimi a Corigliano Calabro nel corso dei secoli
«II 7 luglio 1513 avviene il riconoscimento del culto: in questa concessione, „ non rara in quei tempi prima della canonizzazione, si parla di buon uomo passato a miglior vita da appena
cinque anni, che sebbene in sanctorum catalogo adnumeratus non est potrà essere ritenuto e venerato prò beato da quanti accorreranno al suo sepolcro, concedendo di celebrare l'annuale memoria
liturgica». A Corigliano si ricorda subito questo avvenimento, perché nel luogo dove sorgeva la capanna abitata da Francesco di Paola, detto romitorio di San Francischiello, ove Francesco
rimase tra il 1476 e 1478 e che si doveva presentare come una boscaglia nella quale il santo aveva costruito una capanna ed è facile immaginarla interamente dalle linee molto ruvide e
semplici, fu creata l'immagine del santo orante, eretta, appunto, per la beatificazione del nostro santo il 7 luglio 1513 e questo perché solo con la beatificazione si poteva aprire al culto
e non prima. Il 1° maggio 1519 «il Diarum riporta anche una dettagliata descrizione della funzione nella basilica costantiniana di San Pietro. Vengono riferite le suppliche da parte degli
oratori del re di Francia, del rappresentante dei minimi e del procuratore della causa, come anche il discorso del papa Leone X, che durò quasi una hora e fu ascoltato cum admiratione.
Avviandosi alla fine, il papa non potè trattenersi dal piangere (lachrimatus est), consapevole della solennità dell'atto di annoverare tra i santi un suo amico, Francesco di Paola, da appena
un decennio passato a miglior vita». A Corigliano, nel 1519, viene costruito l'altare di San Francesco, con la bella tavola di San Francesco di Paola, che potrebbe essere una delle immagini
date a Roma il 1° maggio 1519, giorno in cui venne proclamato santo; mentre un altro ritratto di dimensione più piccole e con la scritta Vera Effigie S. Franasti De Pania, si trova custodito
sino ad oggi in una casa privata nei pressi di porta Librandi, da dove è passato il nostro santo per essere accolto dal clero nella chiesa di Santa Maria Maggiore e, poi, al castello da
Girolamo Sanseverino. Nel commentare quanto il cerimoniere De Grassi scrive nel suo Diario circa la canonizzazione di San Francesco avvenuta il 1° maggio 1519, Rita Fiordalisi afferma: «Fra
tutti gli ornamenti, ci limitiamo a ricordare 50 grossi quadri in cartone ovale, recanti l'immagine del nuovo santo con le insegne del papa, della basilica, del re di Francia e lo stemma
Charitas». Altri 12 quadri, in tela intrecciati con festoni e fronde e fiori, furono collocati sulle porte del castello, del palazzo apostolico dell'aula delle udienza, et ali in diversi laci
ubi possent melius videre e ancora... «Il maestro Bourdichon non ha eseguito certamente tutti questi ritratti, e ciò è deducibile dal resoconto economico del De Grassi che assegna solo 195
ducati per i dipinti. Ma che fine hanno fatto tutti questi ritratti e che uso ne è stato fatto? Mi piace pensare che siano stati collocati in chiese, cappelle e conventi, a disposizione del
culto dei fedeli e del suo popolo tanto amato». È pensabile che uno di questi ritratti sia quello esposto a Corigliano Calabro, perché certamente quel giorno, a Roma, doveva essere presente
sia il correttore di Corigliano Calabro, quarto eremo fondato dal santo, che Pietro Antonio Sanseverino, figlio di Bernardino ed Eleonora Piccolomini, che «sposò Giulia Orsini, e poi l'anno
seguente Erina Castriota. Fu proverbiale per la sua prodigliatà». Sempre nel 1519, viene trasformata in chiesetta la capanna (romitorio) che il nostro santo aveva costruito con le sue mani:
si è rinforzata per quel che bisognava, fu sormontata la facciata da un campanile, con un semplice arco con una piccola campana: possiamo immaginare così la trasformazione. Nel 1545,
probabilmente per avere più stanze, su iniziativa del principe di Bisignano e conte di Corigliano, Pietro Antonio Sanseverino, così come emerge dal seguente documento tra padre Giovambattista
De Angelis (deputato dal generale dell'Ordine dei Minimi) super fabbrica ecclesiae Trinitatìs terrae Corìolani predicte religiosi ed il mastro Orlando de Cava da Corigliano che in data 2
novembre 1545 convenivano quanto segue: «...lo prefato maestro Orlando pigia ad fabbricare tutte le stancie nove che si hanno da fabbricare in detto monastero eczo è in lo edificio novo che
fa fare lo illustrissimo signor principe tanto quelli sono principati tanto quelli che si hanno da principare demodo tutti i muri no viet fabbriche che se haveranno de fare in ditto edificio,
detto Orlando pigia lo partito ad fabbricarli preservato lo corretturo cum li archi de li colonne, cumpacto che Orlando sia tenuto fornire tutto lo disigno ut supra, et li pigia ad fabbricare
usque ad perfectionem de tutto l'edificio, et pigialo partito della fabbrica a ragione de quindici canne de muro aduncza (ogni 30 metri di muro circa sei ducati) tanto de intro terra quanto
de supra terra cum pacto che si avessero de fare alcuna fabbrichetta intra li incastri che Orlando non sia tenuto de finestre quanto de porte et lo partito vada ut supra ad fabbrica et che in
detto partito se nei in tenda lo muro che si ha da pigiare da lo muro de lo incastro et curre alle stancie nove che se faranno»6: è la metà della nuova ala che va verso il romitorio sia a
piano terra che al primo piano, escluso il chiostro. Nel 1582: «Dopo che il nostro santo hebbe i pubblici honori nella Chiesa i nostri frati nel suo picciol romitaggio drizzarono un altare, e
vi dipinsero la sua immagine, e acciocché per l'ingiuria de' i tempi non rovinasse, l'anno 1582 vi fabbricarono d'intorno una chiesolina hoggi di famosa, e venerabile per le memorie, che
conserva della sua santa vita che ei menò; e dell'estrema penitenza». In tanti si chiedono come mai il romitorio si chiama San Fmndschiello, durante i lavori del 2006, pensiamo di aver
compreso il motivo: infatti, una piccola statua lignea del santo, che nel tempo era stata ricoperta di gesso, forse perché sembrava brutta a vedersi) a causa delle bruciature causate dalle
candele dei devoti, riportava nel manicone del saio della statua una reliquia (probabilmente un osso del corpo bruciato del santo nel 1562 dagli ugonotti a Tours in Francia e portato a
Corigliano e ora sistemato in un reliquario) e una data, il 1582, che corrisponde al momento in cui i minimi sistemarono il romitorio, contenente la pietra guanciale, che San Francesco di
Paola usava come cuscino, dormendo sulla nuda terra. In questo periodo «il benessere sociale, affatto compromesso dagli attacchi turcheschi grazie alle misure militari di Niccolo Bernardino
Sanseverino, si manifestava anche con la costruzione di abitazioni fuori le mura di cinta, la presenza di ordini mendicanti e la commissione di opere d'arte». Nel 1582, vi è stato un radicale
restauro del romitorio San Francischiello, con l'aggiunta di un vano anteriore, che diventa il luogo ove seppellire i frati dell'Ordine dei Minimi, e vi viene messa la statua di San
Francischiello. Tutti pensano che sia nel 1538 che: «San Francesco di Paola aveva difeso il suo monastero, secondo la sua stessa predizione, dall'assalto dei turchi. Quell'anno, infatti, una
loro flotta, capeggiata dal pirata Barbarossa Ciarredina (l'ottomano Kahir ed Din) approdò sulla nostra costa e le orde selvagge avanzarono minacciose, per saccheggiare l'abitato. Cinsero
d'assedio il paese e tentarono dapprima l'assalto a questo convento, allora isolato e meno difeso. I frati terrorizzati ne erano fuggiti, lasciandovi un povero vecchio, che per gli anni e per
gli acciacchi non poteva seguirli nella fuga. Ma poteva pregare e con fede si rivolse al santo fondatore, che gli apparve, lo invitò a non temere e, direttosi verso la porta d'ingresso, la
puntellò con la canna che teneva in mano. Poi sparì»; in realtà, secondo le nuove datazioni, ciò accade durante l'invasione dei turchi nel 1596. Vogliamo annotare che San Francesco di Paola è
chiamato 'u viecchiu, non solo a Corigliano, ma in tutta la Calabria: il motivo è semplice, perché egli inizia a costruire gli eremi calabresi all'età di 57 anni e quando giunge a Corigliano
ne ha 60. Per quei tempi si era già vecchi e poi un eremita con la barba lunga, alto e austero, con il bastone, perché sofferente ad una gamba, come risulta dalle fonti, da maggiormente
l'impressione di un uomo anziano. «Nel 1596, in conseguenza della chiusura della chiesa per una lite di giurisdizione tra i frati ed il vescovo, il territorio coriglianese subì un'invasione
di cavallette che danneggiò biade, piante e vigne e cessò solo quando la chiesa fu riaperta al culto dal popolo stesso, convinto a farlo da Adriano Magrino, memore in quel frangente della
predizione (minima)»0 e col ritorno dei minimi nel 1598, San Francesco di Paola è proclamato patrono di Corigliano a furor di popolo. Dopo varie vicissitudini politiche per l'estinzione dei
debiti contratti dai Sanseverino, nel 1613 «il feudo fu comprato dal genovese Agostino Saluzzo dietro suggerimento del figlio Giacomo. L'investitura di Corigliano ad Agostino Saluzzo fu
ufficializzata con la presa di possesso il 30 giugno 1616»"; inizia, così, l'era dei Saluzzo. Per quanto concerne la storia dei minimi, nel 1615 assistiamo ad una certa conflittualità a
riguardo del titolo di santo protettore della nostra città: «II conflitto più acceso fu quello tra i minimi ed i conventuali, che si contendevano il riconoscimento del santo patrono
principale della terra rispetto a quelli secondari. Tutto ebbe inizio nel 1615 quando i francescani, occultando un atto notarile del 1° aprile 1598, rogato da Manlio Amedeo che assegnava a
San Francesco di Paola il titolo di patrono di Corigliano, proposero di nominare Sant'Antonio di Padova come loro protettore, in sostituzione del taumaturgo calabrese. Qualche mese dopo
l'arcivescovo di Rossano, Giacomo Carata, ignorando la decisione della Congregazione dei riti, non autorizzò la processione di Sant'Antonio e allo stesso modo si comportarono i cappuccini,
che fecero mancare la loro presenza al corteo religioso. Questo atteggiamento inasprì ulteriormente i rapporti e la guerra tra minimi e conventuali, alimentata da domande e ricorsi alla
diocesi di Rossano, alla Congregazione dei riti ed al pontefice, andò avanti per diversi decenni»12. Nel testamento del 10 agosto 1617 di Agostino Saluzzo leggiamo: «de più s'haveranno da
dire perpetuamente Messe continue per l'anima mia ogni giorno, cioè una in la chiesa de padri di San Francesco di Paola di questa terra». Ed ancora: «...conforme al voto che feci in Paola si
continui a tener una lampada accesa innanti alle reliquie del benedetto San Francesco et che se li continui la dovuta elemosina perpetua per detto effecto». Siamo a conoscenza che nel 1629
mons. Andrea Perbenedetti compie una visita apostolica nella diocesi di Rossano, che non era di natura disciplinare, ma solo per verificare il livello di ricezione dei canoni tridentini:
sarebbe davvero interessante conoscere la sua relazione sulla chiesa e sul nostro convento, ma non possediamo la relazione. «I minimi di San Francesco, il 21 maggio 1636, intensificarono il
culto del taumaturgo accogliendo nella chiesa conventuale particulam panni habitus Sancii Frontisti de Pania. Il prezioso dono era offerto da padre Francesco Cala, provinciale dell'Ordine, ed
ambiva arricchire il patrimonio sacro della comunità cenobita di cui si era discusso nel XXXVII capitolo generale dei minimi, tenutosi a Marsiglia il 4 giugno 1635»15 e nel 1636 abbellirono
il romitorio con affreschi, raffiguranti episodi della vita del santo. In realtà, non è proprio come afferma il Bavaglio, ma nel capitolo si decise che il convento di Paterno doveva
restituire le reliquie che erano già a Corigliano; ecco il testo preciso: «Statuerunt Patres, quod e conventu Paterni in Provincia S. Francisci, transferantur in conventu Coriolani imago
Crucifixi, quam S.P. noster deferebat super baculo, et cingulum ipsiusmet B.P. cum debitis solemnitatibus, non obastant quacumque contradictione correctori, et fratrum illius conventus». «Il
convento custodiva già il cordone e la croce del fondatore e per proteggere le reliquie, i minimi, inviarono ad Urbano Vili una supplica che domandava la scomunica latae sententiae per coloro
che avessero provato ad estrarle o a trasferile. Avuta l'approvazione pontificia, il 10 novembre 1635 il cardinale Antonio Barberini fece spedire il breve Exponi nobis con il quale il papa
scomunicava chi avesse portato via le reliquie della chiesa dei minimi di Corigliano oppure i libri della biblioteca. Il provvedimento fu confermato da Innocenze X il 6 luglio ed il 23
novembre 1646». Il terremoto del 27 marzo 1638: «II sisma verificatosi il sabato delle palme, alle ore 21.30, rovinò la Calabria Citra dove perirono quasi 10 mila persone». Scriveva il
contemporaneo Lucio D'Ordine: «Ogni luogo è tomba, ogni angolo è sepolcro di infiniti cadaveri. A Corigliano le scosse telluriche, rispetto alla maggior parte dei centri del cosentino, si
contarono 18 morti e 47 case crollate». Notiamo che il sisma avvenne nel giorno della nascita di San Francesco e Corigliano ne fu protetta. Sappiamo che la comunità di Corigliano ha dovuto
inviare una relazione sullo stato del convento e della comunità di Corigliano, durante l'anno 1650, nell'ambito della famosa inchiesta finalizzata alla soppressione dei conventìnì in Italia:
ma anche di questa relazione non abbiamo il testo, che sarebbe interessantissimo. Il 31 marzo 1676: «Venne creato arcivescovo di Rossano mons. Girolamo Ursaia, religioso minimo di San
Giovanni a Pironella (Basilicata), il quale giunse nella sua residenza di Rossano il 27 febbraio 1677 e morì nel 1683»: sarebbe davvero interessante la relazione della visita canonica alla
nostra chiesa, ma non la possediamo. Comunque, «a metà Seicento i conventi con il maggior numero di presenza erano quelli di Paola con 34 unità, di Corigliano e Cosenza con 26, di Spezzano
con 22, di Nicastro con 20».
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