Fortunato Bruno, un professore di altri tempi
di Giulio Iudicissa
In epoca in cui censo e casato ancora decidevano il destino dei più e ai giovinetti di origine popolare toccava la via della campagna o dei mestieri, lui sfuggì alla regola. Figlio di un
commerciante di stoffe e di una casalinga, frequentò la scuola elementare ed il ginnasio a Corigliano, dove era nato il 31 dicembre del 1877, per proseguire, poi, gli studi liceali a Napoli ed,
infine, quelli universitari, in lettere classiche, a Roma. Gli esiti, furono sempre brillanti. Evidentemente, sacrificio e tenacia ebbero la meglio sulla modestia della famiglia e sull’avarizia
del tempo. Di qualità Fortunato Bruno ne possedé più d’una: la professionalità se l’era guadagnata, studiando spassionatamente; l’equilibrio gli era stato dato dalla natura; l’umanità gliela
conferivano la quotidiana sofferenza ed il rapporto coi giovani. Docente dal 1901 al 1946, prima presso il ginnasio e, poi, presso il liceo scientifico, da lui fortemente voluto, nonché preside
nella stessa scuola, mai ebbe tensione coi discepoli o screzio coi docenti; i primi lo elessero a maestro di vita, gli altri a guida illuminata. Francesco Antonio Arena lo dipinse così: “Italiano
per sentimento, europeo per cultura, cristiano per fede e per tradizione, fu democratico, anche nella scuola, per istinto. Geloso della propria dignità, era rispettoso della dignità altrui”. Alla
politica non si applicò mai, ma i politici, d’ogni colore, lo ritennero uomo giusto e buono e lo rispettarono. Politico don Fortunato lo fu a modo suo, servendo la patria, generoso combattente,
negli anni della prima guerra mondiale, ed educando, poi, tanta gioventù coriglianese con la parola e con l’esempio, per cinquant’anni ed oltre. Oggi, potremmo additarlo a modello di coerenza; un
tutt’uno di naturale semplicità, in cui l’uomo pubblico ed il padre di famiglia perfettamente coincidono. Mi dicono pure che in cucina si destreggiava tra i fornelli come a scuola tra i libri. Di
dispiaceri n’ebbe tanti, resi acuti dalla sensibilità; e, però, giammai lo abbandonarono la fede e l’ottimismo. Patì la perdita d’una figlioletta e quella del giovane fratello e subì la grave
malattia d’un altro figlio. L’animo suo si mantenne quello di sempre; comprensivo con gli alunni, con gli amici generoso, mite ed oltremodo accomodante in famiglia. Ogni tanto diceva: “Mi chiamo
Fortunato per ironia”. Prima di morire, d’un brutto tumore, il 20 marzo del 1951, volle mandare, dal balcone di casa, un ultimo saluto alla sua scuola. La conosceva in ogni pietra, tanto da
indovinare l’ora del giorno dal passaggio del sole sulla facciata. Due ex-alunni, che quotidianamente gli tennero compagnia, ne registrarono, negli ultimi tempi, l’immeritata povertà, cui lo
costringeva una vergognosa pensione; l’uno ne colse anche gli irrealizzati sogni di padre, l’altro, commemorandolo, disse: “I tuoi affettuosi consigli hanno rischiarato il cammino di tante
generazioni. Padre buono, addio”. Le autorità comunali ben fecero a dichiarare, per la sua scomparsa, il lutto cittadino. Oggi, a don Fortunato, il vecchio professore buono col mantello, restano
intitolati il liceo scientifico ed una strada.